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Le lacerazioni di un amore borghese
Un Dino Buzzati apparentemente irriconoscibile si svela in questo romanzo dal sapore autobiografico ambientato sullo sfondo di “…una delle tante giornate grigie di Milano, però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia”. Si tratta di un’opera che mette a nudo senza alcuna ipocrisia quell’aspetto più viscerale dell’amore quando non risulta essere corrisposto, quando lacera la mente, il cuore e tutto il corpo senza soluzione di continuità. Antonio Dorigo, cinquantenne di professione architetto, prova tutto questo nei confronti della giovane Laide, una prostituta conosciuta all’interno di una casa di appuntamenti a Milano. Un colpo di fulmine che alimenta un desiderio, perché la Laide rappresenta l’essenza di “femmina, di capriccio, di giovinezza, di genuinità popolana, di malizia, di inverecondia, di sfrontatezza, di liberà, di mistero. Era il simbolo di un mondo plebeo, notturno, gaio, vizioso…che fermentava di insaziabile vita intorno alla noia e alla rispettabilità dei borghesi”.
L’amore di Dorigo viene sezionato dalla penna di Buzzati che ci mostra la parte meno nobile, il suo lato più oscuro fondato sulla gelosia soffocante, sul sospetto, sul desiderio di possesso, sulla necessità di controllo, che nascono dalla sfuggevolezza dell’amata, dalla comprensione di non essere ricambiati, dal sapersi “uno dei tanti”. Dorigo è cosciente di essere vittima del suo carnefice, di questa ragazzina che può possedere per alcune ore solamente comperandola per cinquantamila lire alla settimana, una ragazzina terribile che lo tiene in scacco e si diverte a prenderlo in giro, una ragazzina che balla il cha-cha-cha e che ai suoi occhi “si trasforma in disinteressato gesto di bellezza, diventa una rosa, una piccola nube, un innocente uccellino lontana da ogni bruttura”. Ma Buzzati si spinge oltre, e nel descrivere questa dicotomia tra amore/non amore intende parlare di un’epoca tutta, quegli anni sessanta del boom economico italiano in cui la borghesia spadroneggia con tutti i suoi limiti e le sue ipocrisie. Ecco che i ruoli tra Dorigo e la Laide si invertono allora ed il primo appare più come carnefice che come vittima, in quanto si intravvede in questo suo amore una forma di disprezzo nei confronti della Laide: lui, “schifosamente borghese, con la testa piena di pregiudizi borghesi”, la considera una donna da poco, una “puttanella dei quartieri popolari” da amare, da possedere, ma da nascondere allo stesso tempo. In questi tratti Buzzati ricorda un po’ il Moravia de “Gli indifferenti”, “Il disprezzo” e de “La noia” in cui la borghesia italiana si palesa nei suoi tratteggi più negativi.
Le pagine di Un amore, magistrali non solo per il contenuto ma anche per lo stile dell’autore che spesso racconta come si trattasse di un “flusso di coscienza ininterrotto” che scaturisce dalla mente innamorata di Dorigo ,vanno comunque ricordate anche per quelle tematiche così care a Buzzati sul tempo che passa e la fine che si avvicina inesorabile, già affrontate nel “Deserto dei tartari”. Questa volta a fare la differenza per Dorigo (che è quasi l’anagramma di Drogo) è proprio l’amore che “gli aveva fatto completamente dimenticare che esisteva la morte”.
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Commenti
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Forse più che "non eccellenza" potrei dire che ha uno stile di scrittura "lineare", che a tratti ricorda la cronaca di eventi (non dimentichiamoci che è stato un giornalista) anche se ci sono cmq momenti narrativi di notevole livello :)
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A distanza, devo dire che il romanzo mi ha lasciato ben poco.