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La guerra è dappertutto, in campagna come in città
“La ciociara” di Alberto Moravia racconta l’esperienza di due donne, madre e figlia, costrette a scappare da Roma durante la Seconda Guerra Mondiale per scampare ai bombardamenti e alla carestia che imperversava nella città. Ma, allargando il campo dell’obiettivo, ci si rende conto di trovarsi di fronte a qualcosa di molto più grande: al senso stesso della violenza e della forza distruttiva di un’esperienza profanatoria come quella della guerra.
Cesira, la protagonista, è una donna semplice, pragmatica e concreta, tutta volta alla pulizia della casa, al negozio e alla cura della figlia Rosetta. Una donna trapiantata a Roma dalla Ciociaria, contenta di aver abbandonato i campi della sua infanzia, nonostante rimanga forte l’attaccamento a quei luoghi e alla sua origine contadina, pronta per cominciare una vita completamente diversa, da abitante di città, nella casa dell’odiato marito. Se la guerra in un primo momento sembra essere una manna dal cielo per la donna, la quale attraverso la “borsa nera” riesce a intascarsi parecchi soldi facendo leva sulla penuria di viveri, alla fine la costringe ad abbandonare la casa amata, simbolo di una vita desiderata e poi afferrata con mano, coltivata e protetta dalle sue cure, ed ora strappatale via da una guerra che non capiva e non voleva.
Madre e figlia, a malincuore, partono per la campagna, con l’illusione di raggiungere la casa dei nonni e poter aspettare la fine delle guerra mangiando e riposandosi, come se si trattasse di una semplice vacanza. Scopriranno sulla loro pelle che la guerra non fa sconti, non va in vacanza e non risparmia la campagna, per quanto essa possa comunicare tranquillità e ristoro.
Non arriveranno mai alla casa dei genitori di Cesira, il treno pieno di nazisti non giunge a destinazione e costringe le due donne, sole, con le valigie caricate sulla testa a cercare riparo altrove.
“La ciociara” è la storia di una parte dell’Italia, quella costretta a scappare e cercare rifugio sui monti, lontano dai centri abitati, a fare provviste senza sapere per quanto tempo se le sarebbero dovute far bastare. Di uomini e donne costretti dalla necessità a sospettarsi l’un l’altro, ad aiutarsi solo per tornaconto personale, ad aspettare con ansia ora la vittoria degli Alleati ora quella dei tedeschi, purché mettessero fine alla miseria, alla fame e alla lontananza dai propri cari e dalle proprie case.
È la storia di due donne, sole, che si fanno forza l’un l’altra per cercare di sopravvivere alla fine della guerra, qualcosa di innaturale che sotto i loro occhi stava storpiando la natura dell’uomo. Cesira, per proteggere la figlia, pura come un angelo e perfetta nella sua “ignoranza”, trova la forza di andare avanti e non buttarsi giù di fronte agli intoppi che incontrano lungo il cammino. Riesce a provvedere ad entrambe, grazie al denaro della “borsa nera”, a garantirsi un tetto sopra la testa e provviste per l’intero periodo in montagna. Ma è proprio quando tutto sembra essere finito e risolto per il meglio che le cose precipitano. Gli Alleati sbarcano e sbaragliano le truppe tedesche conquistando terreno e permettendo agli sfollati di scendere a valle.
Qui, Cesira avrà modo di constatare come la guerra non tiri fuori il peggio delle persone, ma permetta agli uomini di sfogare la loro vera natura, di fare uscire, senza regole e senza paura delle conseguenze, la bestialità che si annida in fondo all'essere umano, senza tralasciare nessuno. L’egoismo e il tornaconto personale anestetizzano l’uomo e lo rendono indifferente alle disgrazie altrui, capaci di spostare un cadavere dalla strada e proseguire come se nulla fosse successo; di stuprare, rubare, vivere sulle spalle degli altri senza che nessuno venga punito, senza sensi di colpa, senza sentire il bisogno di redimersi.
Cesira assiste ad eventi tragici e drammatici, come donna e come madre, vede la figlia cambiare sotto i suoi occhi e sente su di sé il peso dell’impotenza di fronte alla sofferenza e al dolore di un essere così perfetto rovinato per sempre.
La guerra ha cambiato il volto dell’Italia e gli animi degli italiani, e quella donna che in gioventù era in grado di trasportare “sul cercine, in bilico sulla testa, […] fino a mezzo quintale”, si ritrova a dover sopportare sulle proprie spalle qualcosa di molto più pesante: la consapevolezza che tutto è cambiato, la guerra aveva segnato la “tomba di indifferenza e di malvagità”, mentre il dolore provato, sulla carne e nell'anima, le aveva salvate e restituite alla vita, una vita non felice e forse piena di oscurità, ma “la sola che dovessimo vivere”.
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Per chi pensa a Moravia come scrittore che rappresenta la borghesia, sarà una bella sorpresa questo Moravia neorealista.
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