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Mi chiamo Jacomo, sono il figlio di ser Battista i
Melania Mazzucco racconta, con questo romanzo, la vita di Jacomo Tintoretto, pittore veneziano del Cinquecento, ripercorrendo a ritroso la strada, fatta di alti e bassi, di un’esistenza votata all’arte e all’amore, di uomo ambizioso e controcorrente. Una scrittura incalzante ma anche riflessiva, che trova la sua forma ideale nel monologo intimo e raccolto che il narratore protagonista, Tintoretto, rivolge a Dio, ma in fondo soprattutto a se stesso. Un dialogo che funge da specchio per l’anima, per fare i conti con un’esistenza costellata di errori, di sbagli, di vizi. Una vita spesa a cercare consenso e approvazione, nel tentativo di essere apprezzato in quegli ambienti che più di tutti lo respingevano, risoluto e testardo, con una sola meta davanti agli occhi, Tintoretto viene dipinto dall’autrice in tutto il suo estro, nelle sue contraddittorietà e nella sua fame di gloria.
La storia del figlio del Tintore è magistralmente costruita tramite dei flashback, una sorta di bilancio finale prima di ritrovarsi davanti al Giudice, temuto, venerato, servito e soprattutto omaggiato. Tra le calle di Venezia, il giovane pittore in erba comincia i suoi primi passi, tra stenti e arte becera, convinto di essere destinato, predestinato, a qualcosa di più grande. È un percorso di fatica, di difficolta e talvolta di miseria, costretto a farsi largo nel mondo a gomitate per farsi notare, per prevalere. È il racconto dei dipinti che hanno reso, e tutt’ora rendono, grande la città lagunare, che hanno consacrato il pittore ad occupare un posto nella storia e a non cadere nell’oblio; è il racconto di una passione e di un talento che non hanno trovato riposo, che si sono espressi anche quando volevano tarpargli le ali.
Ma è anche la storia di un uomo, di un padre, di un marito, che ripensa al passato e ai sacrifici fatti, agli errori e ai passi falsi, ma che è capace di redimersi. L’amore dell’artista per i figli è il collante di questo romanzo, ciò che tiene uniti i pezzi del puzzle che Melania Mazzucco costruisce in un gioco di rimandi e di suspense continua. La vecchiaia consegna all’uomo un dono importante, quello della consapevolezza, ma anche un grande peso, quello del tempo passato e mai più recuperabile. L’anziano pittore ripensa al suo rapporto con i figli maschi, ribelli e sfuggenti, ma bellissimi e pieni di vita e alle figlie femmine destinate a farsi monache, allontanate dalla casa paterna contro la loro volontà come per ripagare per gli errori del padre. Ma la figura che più di tutti catalizza l’attenzione del pittore, il centro in cui confluiscono tutti i ricordi, è Marietta, la prima figlia, l’illegittima, la prediletta, la Tintoretta.
Negli ultimi giorni della sua vita Tintoretto ripercorre la sua esistenza, le luci e le ombre di una vita votata all’arte e in parte alla famiglia, ma il tono della confessione che egli fa a Dio ha in sé stralci di amarezza, di pentimento e soprattutto di rimpianto. Con uno stile perfettamente barocco, Melania Mazzucco fa di Tintoretto un uomo reale, tangibile, uno come molti, che si rende conto di aver ottenuto tanto nella sua vita ma di aver perso altrettanto. È un invito a non dare per scontati i rapporti umani e familiari, a non rimandare e a non dimenticarsi di amare e di dimostrarlo, ma anche a non smettere di inseguire la propria strada.