Dettagli Recensione
Inutili distinzioni
Testo teatrale perfetto. Tre atti, tre capitoli significativi della vita di Grazia Deledda: la partenza definitiva dalla Sardegna in seguito al matrimonio, il ritiro del premio Nobel, la malattia che la porterà alla morte. Due persone ad accompagnare la sua vita terrena e la presenza nel palcoscenico: il marito e la madre, viva e poi sotto forma di spirito. Grazia, la protagonista assoluta, restituita allo spettatore dall’eccellente maestria di Fois che ha saputo far rivivere l’anima di una donna intelligente, collocandola opportunamente nel suo ristretto universo culturale di riferimento. E, si badi bene, non parlo qui solo delle angherie subite da un perbenismo di facciata nutrito dalla cultura ancestrale della famiglia di riferimento o da parte della piccola Nuoro, quanto, e in misura forse ancora più palese, di quelle riconducibili alla cultura ufficiale, a quella continentale, a quella che da un lato pubblica o legge i suoi lavori per poi scandalizzarsi se la giovane donna sarda ottiene il riconoscimento più ambito dai maschi ben più “importanti”, quali D’annunzio o Pirandello. Sapevo della lettera a Treves vergata dal siciliano che riferiva, in occasione del suo Nobel, di aver appreso che l’ avrebbero conferito a lui prima, se Mussolini non avesse voluto favorire la sarda per far tacere la rivalità fra due mostri sacri, lui e il pescarese appunto, ma mi sfuggiva, benché sapessi del romanzo “Suo marito” e della polemica nei confronti di Palmiro Madesani, marito della Deledda, la consapevolezza dell’artista di essere al centro di una polemica sottile e maschilista ma anche profondamente umana, nei suoi limiti. Pare che Treves avesse risposto a Pirandello riconducendolo alle sue ragioni più intime: la gelosia per una famiglia serena e un rapporto coniugale invidiabile, appunto. E mi sfuggiva soprattutto il pensiero della scrittrice che ancora una volta si trovava indignata ma fortemente consapevole della sua forza innovatrice rispetto ad un mondo che non poteva accettare uno spirito libero e per di più donna.
Nel mio paese, la Deledda è stata assurta a modello per le donne, in un ciclo di iniziative sul tema della parità di genere, e al termine delle iniziative è stato organizzato un convegno per presentare un carteggio intrattenuto dalla scrittrice con un giovane professore di Lettere , Pietro Ganga, avo di alcuni miei compaesani. I contributi dei relatori hanno delineato una personalità forte e coraggiosa, tenace e complessa, sicura e combattuta nell’intimo dissidio generato dall’inevitabile frattura con il mondo che l’aveva generata, partorita, allevata e poi non era riuscita ad accettarla nonostante non facesse altro che narrare quello stesso mondo a cui profondamente era debitrice. Si è ricordato inoltre che nel 2016, anno di pubblicazione del lavoro di Fois, sono apparsi alcuni altri timidi contributi sulla figura ancora poco conosciuta della Deledda, compresa la biografia di Luciano Marrocu, “Deledda. Una vita come un romanzo”, sottolineando come ci sia una timida ripresa dell’interesse verso la scrittrice sarda oltre che un incessante lavoro accademico che si spera di raccordare con il lavoro delle scuole di ogni ordine e grado, soprattutto in Sardegna, al fine di evitare quel terribile oblio, dovuto allo studio della letteratura per movimenti letterari che vede penalizzata una scrittrice non inquadrabile in tal senso. Ironia della sorte: stesso destino che le fu riservato in quanto donna.
Indicazioni utili
Commenti
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |
Ordina
|
Comunque penso che in Svezia la Lagerlof non passi nel silenzio come da noi la Deledda.
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |