Dettagli Recensione
Carne dissolta: la sublimazione in Morselli
Guido Morselli ha pubblicato in vita solo un paio di libri: rifiutato da personaggi anche noti, come Calvino, Sereni ed Eco, la sua esperienza è la perfetta incarnazione dello scrittore incompreso, destinato a fama postuma. Personalità eclettica e distante dalle vie standardizzate della formazione culturale dell’Italia del primo Novecento, ha lottato per tutta la vita contro la seduzione del suicidio, la tentazione suprema del non vivere, perso nell’occhio nero della pistola con cui si toglierà la vita nel 1973, a 61 anni. Dissipatio H.G. (humani generis), il suo libro più famoso e oggi quasi di culto, fu concluso dell’autore pochi mesi prima del suicidio.
Un uomo, oramai stanco e sfinito, decide di togliersi la vita annegandosi in un sifone roccioso dove sarebbe stato impossibile trovarlo. Eppure proprio prima della fine, decide di cambiare idea, ritorna sulla strada di casa, si mette a letto, prova a spararsi con una pistola e si addormenta. Al risveglio si accorgerà poco a poco che tutta l’umanità è letteralmente dissipata, dissolta, perfino sublimata, e che è l’ultimo uomo ad aspettare un nulla di là da venire. Alla ricerca di qualche vestigia, di una parola umana, il percorso di consapevolezza del personaggio lo porta a oscillare tra due estremi indicibilmente distanti, la gioia d’onnipotenza, la monarchia fatta anarchia dell’unico uomo sopravvissuto, e la paura, il terrore, l’infinito sgomento della propria infinita solitudine. In un mondo in cui restano solo animali e piante, macchine indefessamente programmate per continuare la loro funzione nel tempo e oltre il tempo, il concetto di normalità sbiadisce e la truce pazzia di chi è sopravvissuto e non sa spiegarsi il perché può prendere la via della perdizione assoluta.
Il movimento del libro è del tutto paradossale: l’unico uomo che voleva morire resta in vita e viene chiamato a trovare un senso impossibile sulle macerie delle cose. Ma in fondo è sopravvissuto davvero, o magari è morto quello che vive è un mondo al di là del mondo? È l’ultimo eletto sfuggito al diluvio universale, nuovo Deucalione chiamato a ripopolare il mondo o l’ultimo dei dannati, condannato a un eterno contrappasso?
Il libro di Morselli affronta l’unico problema “camusianamente” rilevante, il suicidio e lo fa costringendo il personaggio ad un furioso alternarsi di stati angosciosi e placidi riposi, disperso tra dotte citazioni e ricordi, lui che non apre un libro da anni, dal Dostoevskij dei “Demoni” al Robinson Crusoe di Defoe, passando per Agostino, San Tommaso, Cartesio, Pascal e un’infinità di altri autori. Mi ha ricordato un film dello scorso anno, intitolato “Annientamento”, in cui un manipolo di donne è chiamato a esplorare uno strano bagliore arcobaleno che si sta sempre più espandendo e da cui nessuno è mai tornato. In questo bagliore la pulsione d’annichilamento che le anima, la pulsione di morte che Freud ravvisa nelle cose, conducono ognuna di loro alla dissoluzione. Così fa Morselli: la pulsione di morte del personaggio, la sua pulsione di morte, deve esplorare un universo nuovo, in cui vigono, giocoforza, altre leggi. L’esito è la paralisi, forse salvifica, forse infernale, di uomo che attende su una panchina un suo vecchio amico, uno psichiatra, forse un’allucinazione, forse una riconciliazione. E intanto la natura si riprende la terra, il petrolio si fa verde, l’asfalto di fa di polvere e una malinconia straniante e ondivaga come le maree lunari si affaccia, minacciosa o quieta, non è dato saperlo, alla fine del tempo.
C’è una freddezza irreale nelle pagine di Morselli, nella gelida lucidità con cui affronta il suicidio, col supremo distacco con cui crocifigge ai quattro angoli della logica il suo patimento. Una freddezza che ha molto della misura oraziana, ma che in più punti da marmorea si fa livida e che spesso sfrutta l’ironia e la leggerezza per smentire e depistare il lettore dal carattere proprio dell’autore: è cioè che nella ricerca volontaria di un solipsismo assoluto si nascondono i germi di un egotismo capace di realizzare, ancora secondo Camus, l’assunto originale di ogni suicidio: “bisogna amarsi molto per sucidarsi”. Che si sia d’accordo o meno, questo di Morselli resta un libro più bello nel suo significato generale che non nella lettura in sé, un libro scritto con eleganza, ma in cui solo raramente la poesia riesce a superare la patina dell’autocompiacimento.
Non credo sia un caso che di lui disse Piero Chiara: “Morselli era un uomo difficile, carico d’orgoglio, convinto di una sua superiorità intellettuale destinata a restare intangibile da parte degli organi editoriali e sdegnosa di ogni successo”. Eppure un autore che non mancherò di approfondire in futuro.
Commenti
7 risultati - visualizzati 1 - 7 |
Ordina
|
Bravo
7 risultati - visualizzati 1 - 7 |