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Bugie e verità
Il suo nome è Giovanna, detta Giannì, ed è nata il 3 giugno 1979, una data immediatamente successiva al giorno della Festa della Repubblica ma che di politico, nonostante la vittoria, al tempo della DC con il 38% dei consensi, non ha nulla a che vedere. E questo perché dietro il volto non particolarmente grazioso di questa adolescente che all’inizio dell’opera ha dodici anni e inizia a fronteggiare i primi problemi con la scuola, vi è la famiglia. Una famiglia che è fatta di felicità apparente, una famiglia in cui uno shock è sempre più prossimo e prende voce e campo dal paragone della figlia con la zia Vittoria da parte del padre.
«Perché mio padre aveva pronunciato quella frase, perché mia madre non l’aveva contraddetto con forza? Era stato un loro scontento dovuto ai brutti voti o un allarme che prescindeva dalla scuola, che durava chissà da quando? E lui, lui soprattutto, aveva pronunciato quelle brutte parole per un dispiacere momentaneo che gli avevo dato, o col suo sguardo acuto, di persona che sa e vede ogni cosa, aveva individuato da tempo i tratti di un mio guasto futuro, di un male che stava avanzando e che lo sconfortava e contro cui lui stesso non sapeva come comportarsi?»
Questa consapevolezza rivelata dal genitore più amato e idealizzato che per lei è sempre stato un idolo, un uomo con cui poter condividere emozioni e passioni, è un vero e proprio trauma. Essere per lei paragonata a quella parte della famiglia nota per essere composta da “sagome ululanti di disgustosa scompostezza” di dubbia apprezzabilità, è l'affronto peggiore. Cosa può fare allora Giannì se non mettersi alla ricerca di quella zia Vittoria così contestata e odiata? E una volta trovata, come resistere a quella fascinazione che colei, con i suoi modi popolari e così contrapposti alla vita borghese a cui era solita, sa palesare? Lei che vive al Pascone, la zona industriale, lei che vive a ridosso della povertà, lei che fa delle cose più comuni un prezioso tesoro, la conquistano così come tutta quella energia e quella vita, quella verità che va oltre le apparenze, quel sesso che non è un tabù. Per Giannì ha cioè inizio un viaggio verso l’età adulta. Ma qual è la prima cosa che effettivamente impara di questa nuova fase della vita la protagonista? Che spesso alla base dei rapporti vi è la bugia. Una bugia fatta di ipocrisia, di omissioni, di circostanze plasmate ad immagine e somiglianza della necessità del momento, di ricatti spesso impliciti eppure lancinanti, di appartenenze che di fatto soventemente non ci appartengono davvero.
Ed ecco che quel mondo a cui tanto era orgogliosa di appartenere e quei legami di cui era tanto fiera, quelle figure che tanto aveva idealizzato, si sgretolano. Giovanna cambia, muta le proprie inclinazioni, lascia quella strada spiegata per lei, lascia gli studi, abbraccia usi e costumi diversi da quelli conosciuti, cede alle attenzioni di Corrado, eppure, eppure, non smette mai di cercarsi. Persiste ad essere alla propria ricerca, persiste a cercare quel posto nel mondo che la possa accogliere o che possa completare quel puzzle in cui quei tasselli non vogliono proprio combaciare, cerca, con l’ansia e l’inquietudine di una persona privata delle sue certezze e dei propri punti fermi, quel qualcosa che nel mondo sia vero e non solo frutto di un costrutto, di un artefatto. Lo troverà questo qualcosa? L’incontro con Roberto porterà l’opera ad un livello ulteriormente successivo, un ulteriore piano che insieme ad altri elementi e personaggi che si susseguono conducono ad un epilogo che porta la ragazza ad abbracciare in un suo personalissimo modo l’età adulta e che al contempo ha quella forza disturbante che lascia interdetti, che sa scuotere, portare a riflessioni il conoscitore, che sa disturbare.
E così la Ferrante arriva. Sdubbia, fa arrabbiare, si fa rileggere, incuriosisce con lo spazio di quell’ignoto e con quelle domande che un po’ tutti ci siamo posti e a cui tutti abbiamo cercato – o stiamo ancora cercando – risposte, scrolla, sconquassa. Ma non accontenta il lettore con un libro studiato ad hoc. Questo è un testo libero, che trasuda dell’autrice, che è intriso di lei, che ha tutta l’impronta de “L’amica geniale”, ma non è studiato a tavolino per far contento chi legge o per offrirgli un prodotto. È un libro che rivendica il suo essere libero, il suo essere pagina scritta, il suo contenere emozioni contrastanti, forti e stratificate, il suo voler essere volutamente complesso, il suo voler essere totalmente e completamente se stesso. Anche se può far storcere il naso, anche se può far titubare, anche se può far soffrire. Anche se non è un libro positivo, anche se mancano totalmente spiragli di luce, anche se lascia perplessità, anche se tanti sono i punti interrogativi. Ecco perché è un romanzo pienamente riuscito.
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