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MILLE NOTTI DI NOTE SULL'OCEANO
Ci troviamo a bordo del “Virginian”, una nave a vapore che a cavallo delle due guerre faceva la spola fra l’Europa e l’America, trasportando passeggeri di ogni etnia e ceto sociale; una volta saliti a bordo, sul ponte in prima classe, incontriamo il ricco industriale vestito di tutto punto mentre passeggia rilassato fumando un sigaro, oppure l’elegante signora appartenente a chissà quale nobile famiglia europea in vena di scoprire ogni mistero del Nuovo Continente. Scendendo in seconda classe vediamo uomini in cerca di fortuna o di avventura, gente qualunque o gente particolare, seduti a conversare o con lo sguardo perso all’orizzonte, ognuno di loro in trepidante attesa di sbarcare verso una nuova vita o di riabbracciare una persona cara, mente tutt’attorno l’Oceano culla e sbalza e tutto questo vortice di sguardi, voci e sospiri ci risucchierà e ci farà precipitare rovinosamente negli abissi neri di questa città galleggiante, la terza classe, il girone dantesco gremito dagli ultimi, gli emigranti, centinaia di poveracci che salpano a bordo con tanti figli e rattoppi quante speranze riposte in un futuro migliore che potrebbe davvero trovarsi al di là del mare.
E proprio alla fine di uno di questi lunghi viaggi, con il Virginian ancorato al porto di Boston, ecco comparire un neonato abbandonato sul pianoforte nella sala da ballo della prima classe, all’interno di scatola di cartone: il piccolo verrà chiamato Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, così pomposamente ribattezzato dal marinaio che lo trovò, Danny Boodmann per l’appunto, il quale lo crebbe amorevolmente come fosse il vero padre. Una notte come tante altre, il ragazzino si sedette al pianoforte e iniziò a suonare una melodia così intesa che pareva esser guidato della mano invisibile di Dio: fu allora che nacque la sua leggenda, quella di Novecento, lo straordinario pianista che non scese mai da quella nave. E nessuno mai seppe il perché.
Quest’opera fu pensata e scritta dall’autore sotto forma di testo teatrale, dal quale successivamente ne derivò uno spettacolo; è un libro in bilico fra una messa in scena e un racconto da pronunciare ad alta voce, fatto sta che l’ho letto tutto d’un fiato, immaginando di salpare a bordo del Virginian negli anni ’30, con il mio vestito ricco di orpelli e un baule carico di sogni, cullata dalle onde e dalle note suonate da un pianista unico al mondo. Un uomo che con la sua magnifica dote seppe incantare migliaia di persone e che attraverso di esse visitò quel mondo che mai volle conoscere perché consapevole di non appartenervi; mai come in qualunque terra si sarebbe sentito più straniero di quanto lo fosse in realtà e questa condizione finì per condannarlo ad una solitudine di sentimenti inespressi e di emozioni negate che come rondini in volo potevano assaporare la libertà solamente per mezzo della sua musica.