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La vita bugiarda di tutti noi
Comincio col dire che questa recensione che ho provato a scrivere contiene spoiler sulla trama.
Ci ho messo qualche ora a metabolizzare il finale de "La vita bugiarda degli adulti", e in generale ad elaborare delle riflessioni su questo libro che prendessero una qualche forma; perchè il nuovo romanzo di Elena Ferrante, lo ammetto, qualche perplessità me l'ha lasciata, ma poi ho capito che dipendeva principalmente dal fatto che si tratta di un romanzo tutt'altro che facile, tutt'altro che piacevole o rassicurante, di certo mai-in nessuna delle sue 300 e passa pagine-consolatorio.
Questo romanzo è il racconto, doloroso e tratti disturbante, del passaggio di una ragazzina dall'infanzia verso l'età adulta.
La trama è abbastanza scarna, eppure allo stesso tempo difficile da riassumere: Giovanna, che all'inizio del romanzo ha 12 anni, proprio nel momento in cui nella sua famiglia sta per scoppiare la bomba della separazione dei suoi genitori, legata alla scoperta di una relazione extraconiugale che il padre aveva da lunghissimo tempo, si avvicina a sua zia Vittoria, sorella di suo padre e da sempre "pecora nera" della famiglia, scoprendo un mondo totalmente diverso dal suo, quello della Napoli popolare, e scoprendo a ritroso, e pezzo dopo pezzo, anche tutta la storia della sua famiglia.
Comincia così il viaggio tutto interiore di Giovanna. L'immagine dei suoi genitori, amatissimi, e in particolare di suo padre, quasi idealizzato, si disgrega, e con essa tutto il mondo al quale Giovanna è appartenuta fino a quel momento: la Napoli del Vomero, il mondo borghese, fatto di studi, letture, discussioni colte, ateismo, ideali. Scoprendo la doppia vita di suo padre, e in parallelo anche quella di Mariano e Costanza, a cui la storia della sua famiglia si lega indissolubilmente, Giovanna scopre a poco a poco anche ipocrisie e falsità del mondo a cui era sempre stata orgogliosa di appartenere. Dall'altra parte c'è il mondo di zia Vittoria, la Napoli bassa, nella quale ci sembra di riconoscere il rione di Elena e Lila, affollato di quegli stessi personaggi popolari, collerici, violenti eppure carichi di sentimenti, di umanità, di amore. Inizialmente, spinta anche e soprattutto dalla voglia di ribellarsi alla sua famiglia, Giovanna vede in questo nuovo mondo qualcosa di vero in cui vuole trovare posto, comincia a frequentare Vittoria, Margherita e tutti gli altri personaggi che popolano questa realtà e alle cui storie si intreccerà la sua vita: Corrado, Giuliana, Tonino, Rosario. Il tempo passa e Giovanna scopre in sè un fondo di cattiveria, di bassezza, che anzichè rifiutare fa diventare, per una certa fase del suo percorso, l'aspetto preponderante di se stessa: smette di studiare, indossa abiti volgari, cede alle iniziative sessuali di Corrado. Tuttavia Giovanna, nel corso del romanzo, cambia continuamente, è continuamente alla ricerca di una identità, di trovare il proprio posto in un mondo che finalmente la rappresenti e la accolga; cerca, con inquietudine e disperazione, qualcosa che sia vero, e che duri nel tempo, che non le si riveli poi in tutta la sua meschinità. Oscilla continuamente tra il mondo di su, quello di via San Giacomo dei Capri, abitato da sua madre, caduta in depressione dopo la separazione e che tuttavia non riesce a liberarsi psicologicamente da suo marito, ma anche da Costanza, dalle sue amiche d'infanzia Angela e Ida, e il mondo di giù, quello di zia Vittoria, affollato da personaggi rozzi, alcuni dei quali violenti, ai quali tuttavia Giovanna finisce per legarsi. Finchè non conosce Roberto, ulteriore tappa nella sua educazione sentimentale, forse l'unico personaggio interamente positivo del romanzo e privo di quella ambivalenza che caratterizza tutti gli altri; Roberto aiuta Giovanna a conoscere se stessa, le dà fiducia e le fa (ri)scoprire la parte migliore di sè, eppure Giovanna sa che non potrà mai averlo nè essere amata da lui nè avere con lui quella condivisione totale, sincera, che lei cerca disperatamente e di cui disperatamente ha bisogno. Così, ancora una volta, va avanti, si evolve, e la Ferrante ci conduce così al finale, che è brusco, spiazzante, forse affrettato, eppure ha un senso. Alla fine Giovanna decide di dare un taglio netto con la sua infanzia, e lo fa in un modo crudele verso se stessa, ma lei sceglie così di cominciare la sua vita adulta, in un modo che sia suo e diverso da tutti gli adulti che conosce. Che poi è quello che tutti desideravamo da ragazzi: essere degli adulti diversi da quelli che conoscevamo.
Il romanzo, quindi, è sì un romanzo di formazione, ed in particolare un romanzo che racconta il passaggio di una ragazzina attraverso l'adolescenza. Il punto di vista è esclusivamente femminile, e ancora una volta nell'animo femminile la Ferrante indaga, scava, racconta, fino alle sue pieghe più intime e nascoste.
Un altro tema, però, a mio parere, è preponderante nel libro, ed è l'ambivalenza che ciascuno di noi si porta dentro, il rapporto con il male, quel groviglio di meschinità che ciascuno di noi, in fondo, nasconde dietro all'immagine "borghese", ordinata, socialmente accettabile che ci sentiamo costretti a dare di noi stessi. Tutti i personaggi di questo romanzo sono personaggi estremamente complessi, nessuno è mai totalmente positivo o totalmente negativo, nemmeno il padre di Giovanna. Anche i personaggi apparentemente secondari, come quello di Tonino o di Giuliana, si scoprono pian piano: quelli che sembrano buoni, semplici, puri, rivelano poi un lato di sè quasi più "animale", ma anche fatto di insicurezze, fragilità, bisogno d'essere amati. La contrapposizione iniziale fra la Napoli borghese e quella popolare si fa via via, nel corso del romanzo, meno marcata; nessun personaggio è completamente colpevole, nessuno è completamente innocente; sono tutti, in fondo, divisi in due. E quindi sì, forse in questo romanzo c'è una critica alle ipocrisie della società borghese, ma c'è in realtà, a mio parere, un viaggio nell'animo umano che è molto più ampio.
Tra gli aspetti che mi hanno lasciato perplessa, oltre al finale, c'è il fatto che in questo libro manchino completamente spiragli positivi. Se ne L'amica geniale c'era, sempre e comunque malgrado numerosi alti e bassi, il legame profondo, vero, fra Lila e Lenù, a dare sempre un senso alla storia ed in qualche modo a rassicurare il lettore, in questo romanzo non ci sono appigli positivi: ogni volta che Giovanna compie una fase nuova del proprio percorso di crescita, prova ad avvicinarsi ad un mondo, quello le si disgrega davanti, torna la disillusione. Così anche l'iniziazione sessuale di Giovanna ( e delle sue amiche) è raccontata solo attraverso episodi negativi.
In questo senso, forse, la Ferrante torna un po' alla narrazione pre-tetralogia, torna a raccontare verità scomode, realtà disturbanti (si pensi a L'amore molesto che racconta di fatto di un abuso, o a La figlia oscura, che parla in maniera tutt'altro che idilliaca dei rapporti madre-figlia); forse per questo la Ferrante può non piacere, perchè ci racconta verità su noi stessi che noi stessi facciamo difficoltà a capire, ad accettare. Ne La vita bugiarda degli adulti ritroviamo però anche molto del mondo de L'amica geniale: quel modo di narrare, quei personaggi, quella descrizione della Napoli più profonda, è un qualcosa che non si può non riconoscere anche qui.
Insomma, non aspettatevi un romanzo piacevole (a parte per lo stile, che secondo me resta bellissimo e scorrevole): questo romanzo, in alcuni passaggi, fa letteralmente male. Eppure, non dovrebbe essere compito della letteratura, anche, darci uno scossone, un pugno nello stomaco, farci scoprire verità su noi stessi e sulla nostra vita che da soli non siamo in grado di capire?
Nel dibattito sulla Ferrante, e su quanto sia, secondo il parere di molti, sopravvalutata e spinta dall'ondata di marketing che ha accompagnato la tetralogia, la serie tv ecc, io mi schiero dalla parte di coloro che pensano che, al di là e ben oltre tutto questo, e fermo restando che la letteratura è anche, fondamentalmente, una questione di gusto personale, la scrittura della Ferrante sia qualcosa di estremamente potente, e che la sua presenza così "ingombrante" nel panorama culturale italiano, a fronte di una identità sconosciuta eppure tanto chiacchierata, sia assolutamente meritata.
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