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I nodi che vengono al pettine
«Il corrotto non può provocare rovina sul corruttore senza restare sepolto dalle stesse macerie»
Sicilia, anni ’70, uno dei periodi più bui e difficoltosi della storia del nostro paese. Protagonista è un pittore di cui non conosceremo mai il nome che si imbatte per caso nell’Eremo di Zafer.
«L’eremo è luogo di solitudine; e non di quella solitudine oggettiva, di natura, che meglio si scopre e più si apprezza quando si è in compagnia: un bel posto solitario, come si suol dire; ma di quella solitudine che ne ha specchiato altra umana e si è intrisa di sentimento, di meditazione, magari di follia. E in quanto a Zafer: un santone musulmano o cristiano? Ed era a tre chilometri soltanto, esattamente e giustamente.»
Un tempo rifugio di pace e silenzio, adesso il luogo non è altro che un albergo di proprietà clericale. Incuriosito dalla notizia del fatto che all’interno di questo si sarebbero incontrati uomini e personaggi di particolare rilevanza della vita pubblica, decide di recarvisi. Ed è qui che tra ministri, alti prelati e presidenti, egli incontra Don Gaetano, gestore della struttura dalla personalità ambigua. Decisosi a trattenersi per qualche giorno per osservare con grande perplessità e scetticismo gli esercizi spirituali, il protagonista, si rende ben presto conto che questi sono soltanto un pretesto e che in verità dietro ai presunti intenti si celano interessi secondari che toccano tanto aspetti economici che politici quanto carnali. Quello a cui però si troverà di fronte l’eroe va ben oltre perché, durante la permanenza, due delitti si susseguiranno, delitti che per l’intera opera cercheranno il loro (o i loro) autore(i).
L’elaborato di denuncia si apre al lettore con un ritmo rapido, fluente, di facile scorrevolezza che ben si mixa con riflessioni di carattere filosofico, artistico, storico e citazioni di matrice varia che ben si confacciano all’oggetto della narrazione. Ciò su cui maggiormente viene posta l’attenzione è l’evoluzione della società italiana sia dal punto di vista dei rapporti economico-sociali che da quello più prettamente religioso. La disamina si concentra in quella che è la “Prima Repubblica”, tuttavia, nello scorrimento tanti sono i riferimenti e i rimandi anche a quella che è la nostra attualità. Nonostante infatti la prima pubblicazione risalga al 1974 ad opera di Einaudi, tante sono le similitudini a quelli che sono gli anni duemila.
«Ma può rimuoverla, questa difficoltà: sono un prete cattivo che, a differenza di quegli altri cattivi che ha conosciuto un tempo, ha letto tanti libri… Le voglio anzi regalare un piccolo paradosso, a spiegazione del mio classificarmi tra i cattivi non per modestia ma per convinzione: i preti buoni sono quelli cattivi. La sopravvivenza, e, più che la sopravvivenza, il trionfo della Chiesa nei secoli, più si deve ai preti cattivi che ai buoni. È dietro l’immagine dell’imperfezione che vive l’idea della perfezione: il prete che contravviene alla santità o, nel suo modo di vivere, addirittura la devasta, in effetti la conferma, la innalza, la serve… Ma questa è una verità del tutto banale: potrei anche assottigliarla o complicarla. […] Ecco: un prete buono le risponderebbe che è la comunità convocata da Dio; io che sono un prete cattivo, le dico: è una zattera, la zattera della Medusa, se vuole; ma una zattera»
Con la solita precisione stilistica e con la consueta vastità di contenuti, Leonardo Sciascia dona al suo pubblico un componimento capace di toccare le corde più intime del conoscitore, un elaborato, ancora, che invita ad interrogarsi su quel che ci circonda e che abbiamo intorno. Tante sono le verità sotto gli occhi di tutti ma, paradossalmente, proprio per questa così chiara visibilità, pochi sono coloro che riescono davvero a farle proprie, a vederle.
Un libro forse non di grandi dimensioni ma certamente di grande significato e lascito.
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Un libro interessante, che si fa leggere.
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