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L'apoteosi del doppio
Chi si cela dentro gli armamenti ferrosi, quelle corazze pesanti, capaci di proteggere alla belle meglio il corpo dei cavalieri nei campi la cui terra è macchiata dal sangue della guerra?
Calvino ci propone una storia rocambolesca a tratti cavalleresca ambientata tra le fila degli esserci di Carlo Magno che, nelle lande francesi, sono intenti a combattere e cacciare gli invasori infedeli.
Come ogni esercito tutto sembra logico, preciso. Per ogni situazione, intervento, operazione è infatti previsto un nome, una procedura ed uno schema di azione tale per cui quella massa di esseri si muove all'unisono, o quasi.
Tanti esseri umani simili quanto diversi, tanti uomini che fuori dalla battaglia dormono, si cibano dei ranci, si azzuffano, si sbeffeggiano, si tolgono le pulci a vicenda e si leniscono le ferite delle battaglie lodando imprese eroiche ai limiti della fantasia. Elmetti, scudi ed armi contribuiscono ad uniformare tutti questi soldati eccetto uno.
La penna di una suora chiusa in un convento ci narra gli eventi e ci presenta un cavaliere unico perché non esiste. Ebbene si, un'armatura vuota ed immacolata, bellissima, lucida e senza ammaccature é animata da una volontà che non ha consistenza. Dietro quei ferri freddi e luminosi non c'è un uomo in carne ed ossa le cui membra sono caratterizzate da fili ed intrecci di sentimenti, passioni, oneri ed onori della vita umana. Il nostro cavaliere Agilulfo è perfetto quanto pedante, la sua mania di precisione rasenta l'irritazione dei commilitoni e dei superiori. Eppure questo NonEssere che non è minimamente toccato delle pestilenze umane non può nemmeno godere dei piaceri della vita, non ha appetito, non dorme, non può amare, non esiste nella corporeità. Come un riflesso a questa perfezione senza corpo conosciamo il vagabondo scudiero Gurdulú che esiste e non sa di esistere: se vede una rana si crede rana, se vede un albero si immedesima nei rami colmi di frutta, se mangia la zuppa è la zuppa a mangiare lui. Lo scudiero arranca dietro il nostro prode Agilulfo, l'uno pesante, rozzo e sconquassato, l'altro leggiadro, splendente, calibrato.
Il racconto si snoda tra storie di donne e cavalieri. Una donna da scovare e da salvare dal nostro eroe, Sofronia, una donna cavaliera, Bradamante, che insegue Agilulfo ed è a sua volta inseguita da certo Rombaldo. L'ironia di un intreccio di vite dal quale emerge l'apoteosi stilistica incentrata sul senso del doppio.
Ogni elemento del romanzo è caratterizzato dalla doppiezza. La perfezione estetica del nostro cavaliere è vuota, una volta che dietro la maschera splendente cessa di animarsi quella volontà, quel senso di onore e vana gloria decadono, resta il nulla. Così il protagonista che abbiamo conosciuto nelle avventure, sfogliando queste pagine stampate ricche di segni non può che svanire, o cambiare forma visto che già non esisteva.
Ad un certo punto il tutto viene paragonato al nulla. L'autore fa parlare i personaggi che riflettono sulla morte come chiusura del cerchio della vita umana la quale tornando alla terra si riconcilia al ciclo infinito della natura. Eppure proprio nella breve parentesi della vita, nella corporeità e nelle imperfezioni delle cose che prendono forma ed esistono nella loro essenzialità, proprio nell'azione dei gesti tangibili, si coglie il substrato umano.
Tutti aspiriamo alla perfezione e siamo attratti dal bello ma cosa resterebbe dell'uomo se tutto fosse davvero perfetto? Forse nulla della sua essenza,forse resterebbe solo una desolante noia che appiattisce gli animi. Il racconto scava nell'emblema della eterna battaglia tra l'essere e l'apparire. Tema costantemente attuale. Bradamante scopre con il furore dei sentimenti di Rombaldo che la perfezione ha assunto vesti umane, non è quindi perfezione ma è sentimento perché è di sentimenti, emozioni e animo che l'uomo riempie se stesso. Nel racconto nulla è come appare, fino alla fine, fino agli ultimi passi di fuga che vogliono ancora scoprire cosa non si conosce, cosa c'è dietro l'angolo di non ancora espresso.
Un breve libro che si struttura, quindi, su più livelli di lettura. La voce narrante si mette in mezzo fra il lettore ed il racconto ed è capace di farci inciampare prendendosi gioco di noi che nulla avevamo inteso della suora. Con questa recensione ho voluto esprimere i pensieri che secondo me può indurre nel lettore guidato e scombussolato dalla penna di una donna devota alla fede che per penitenza ci narra avventure cavalleresche.
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Commenti
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Un caro saluto
Chiara
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Letto tempo fa, resta il libro ce preferisco della trilogia. Anzi, per la scrittura lieve e le possibili letture simboliche che permette, forse è il mio Calvino preferito, fra le opere lette, ovviamente.