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Il Picaro dei nostri giorni
Eccolo il Picaro dei nostri tempi, cambiato, si, dal Lazarillo de Tormes o dal Tom Jones furbi e furfantelli dei quali abbiamo letto con passione le avventure, cambiato per l’atteggiamento nei confronti della realtà che lo circonda, a causa della precoce consapevolezza che lo fa sentire da subito un outsider, eppure sempre lo stesso picaro nella sua spasmodica ricerca di riscatto e di integrazione in una società che istintivamente gli è ostile.
È lui, è Amerigo, il protagonista de “Il treno dei bambini” di Viola Ardone, uno di quei bambini napoletani, scelti, grazie a un esperimento messo in opera dal Partito Comunista nel 1946, perché trascorressero un certo tempo con famiglie del nord Italia, al fine di alleviarne almeno temporaneamente i disagi dovuti a una condizione di vita di estrema indigenza.
Attraverso i suoi occhi veniamo a conoscenza di personaggi molto ben caratterizzati e veniamo a contatto con un ambiente degradato ma carico di umanità e proteso verso quella solidarietà che è elemento essenziale del principio di accoglienza. La crescita di Amerigo avviene tra dolorose separazioni e ricongiungimenti, in un alternarsi di affetti persi e ritrovati. L’amore per la madre che ama profondamente ma di cui percepisce i limiti, lo seguirà sempre e sarà al centro del loro rapporto sofferto fatto di silenzi e sentimenti inespressi.
Al di là della trama, ben costruita, ciò che colpisce è l’operazione che Viola Ardone fa sul linguaggio. Nella prima parte del romanzo la narrazione è affidata ad Amerigo bambino:egli dunque si esprime come un qualsiasi bambino di umile estrazione sociale, che non ha dimestichezza con le regole dettate da una discreta istruzione. La sua mamma è analfabeta, firma con una croce, non sapendo scrivere neanche il suo nome. Amerigo sa scrivere, ma il suo linguaggio è povero e scorretto. La Ardone riporta efficacemente per esempio l’uso dei verbi intransitivi in modalità transitiva, come spessissimo accade nel linguaggio corrente di tanta popolazione del sud. Un’operazione di tipo sociologico che contribuisce a dare maggiore veridicità al racconto. Nella seconda parte, Amerigo, ormai colto signore di mezz’età, si esprime in modo del tutto diverso: grammatica e sintassi testimoniano anni di studio e di riscatto sociale.
Originale anche l’uso di nomi simbolici attribuiti ai personaggi: il cognome di Amerigo è Speranza, e infatti la speranza di una vita migliore sarà il motivo che lo spingerà lontano dalla famiglia di origine, mentre Benvenuti è il cognome della famiglia che lo accoglierà e che diventerà poi suo dopo l’adozione. È quindi proprio il tema dell’accoglienza ad essere centrale in questo bel romanzo. Un tema di grande attualità, che porta alla luce il dramma dell’abbandono della terra d’origine e degli affetti, un dramma di fronte al quale troppo spesso ci mostriamo insensibili. Un romanzo profondamente radicato nella realtà in cui abbiamo vissuto e viviamo tuttora. Commovente senza eccessi. In una parola: bello.