Dettagli Recensione
Sabbia di un tempo passato
Una libreria al 229 Rue Saint-Jacques, un locale con vista sul viale alberato sito di fronte alla facoltà di Filosofia e accanto a una pizzeria gestita da abruzzesi. Un libraio. Uomini e donne che ogni giorno vi entrano alla ricerca di quel qualcosa, uomini e donne che ogni lunedì vi si raccolgono, da quasi un anno, per parlare dei loro libri, per raccogliere frammenti di scritture a cui stanno lavorando, per parlare delle loro scoperte. Poi, un giorno come tanti in uno di questi lunedì come tanti, ecco che uno di questi partecipanti porta con sé un libro diverso dal solito.
«Riconosce il potere di quell’ossessione, del cercare libri perduti. Liberarli dalla regola del buio per farsi raccontare una storia. E rispettare quella resurrezione parlandone per ore, seduto in qualche bar, accarezzandosi la testa liscia illuminata a tratti dai fari della strada.»
Appartiene ad uno scrittore di cui si sono perse le tracce ma basta poco per risvegliarsi nella realtà di questo. Ci ritroviamo nel 1943 e protagonista è Amburgo, una Hamburg spezzata dai bombardamenti e raccontata dagli occhi di un bambino costretto a nascondersi tra le pareti piene di polvere di un bunker sotterraneo in compagnia di altre anime che come lui cercano la salvezza da quella prigione obbligata. Fuori vi è l’incendio. La città sommersa dall’onda d’urto delle bombe incendiarie, fuori i corpi degli uomini sono sommersi dai detriti e altri uomini scavano per riportarli alla luce. Le campagne rigettano i profughi, l’orrore e la devastazione diventano una domanda. È tramite i suoi occhi, è tramite le sue parole che riviviamo uno dei periodi storici più nefasti e malevoli del nostro tempo, è tramite la sua voce che rievochiamo i fantasmi di Roosevelt, Winston Churchill e Adolf Hitler, è tramite i suoi pensieri che conosciamo il mistero. Perché oltre all’aspetto meramente narrativo e storico, vi è un altro arcano da dipanare: chi è questo sconosciuto autore? Perché di lui si conoscono appena le iniziali, M.D., e pochissime opere e tutte rinvenute in circostanze analoghe a quella del primo ritrovamento? È lo stesso autore di “Uomini cavi”, è lo stesso autore di “Treno di notte”, è lo stesso autore di “Bahadir”. Ma chi si cela dietro questo non volto?
«Gli attimi, quando finiscono, non terminano veramente, ma mormorano da una fonte sconosciuta e sussurrano le voci che hanno impastato con cura. Basta poco perché tornino in superficie»
Marco Lupo ci racconta una storia che sa di magia, una storia che solletica le corde più intime, che tocca gli animi più sensibili. E vi riesce con pochi e semplici ingredienti che ruotano tutti attorno ai libri. “Hamburg. La sabbia del tempo scomparso” è un romanzo nel romanzo che racconta in verità più storie e che è caratterizzato da un filo conduttore più ampio a cui se ne ricollegano altrettanti di essenziali e che si snoda in un arco temporale dilatato. Il tutto avviene con una penna magnetica, che accarezza e conduce, poetica e raffinata. Unico neo, se vogliamo proprio essere fiscali, è la parte finale che subisce una battuta d’arresto nella narrazione e che dunque porta a un buon epilogo in modo un po’ fiacco. Ad avvalorare l’opera, fotografie atte a ricostruire il dato storico riportato. Nel complesso, un più che degno romanzo d’esordio.
«Sono sveglio da giorni. Ho appuntamento con le macerie, ma non riesco a fermarmi. Non riesco a scendere da quest’insonnia. Sento il mio odore sulla schiena, impresso come una scia di sudore sul lenzuolo. Sono invecchiato e non guardo mai lo specchio. Potrei dimenticare tutto, lasciare il comando al demente che naviga nascosto nel canale di scolo. Prima o poi salirà in superficie e mi renderà un uomo migliore. Senza passato. Come un bambino a cui hanno bruciato la stanza, la casa, i giochi, le fotografie, i documenti di nascita, la città. Vedo il fiume che scorre accanto al centro abitato e penso di essere arrivato, di avere un nuovo controllo della mia memoria. Vedo l’antica città di Smolensk e immagino la notte russa, il freddo che ghiaccia le cupole dorate, e sento il suono prodotto dagli scarponi del soldato Borchet, il giovane Wolfgang, a cui è stato ordinato di misurare le tombe per i caduti.»
Indicazioni utili
Commenti
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |
Ordina
|
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |
Al di la dei consueti complimenti per le osservazioni sempre utili e puntuali, mi riveli come tu riesca a leggere così tanti libri in così poco tempo....?
Sei fenomenale !
Buona lettura