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Nostra madre fabbrica
Memoriale è uno dei libri più interessanti di Volponi, scrittore urbinate dallo stile impeccabile, a volte un po’ ostico per il contenuto (non in questo romanzo). Memoriale coniuga l’originalità del protagonista, Albino Saluggia, operaio strappato come tanti alla vita dei campi, al modo originale dell’autore di guardare l’esperienza della fabbrica. La fabbrica in cui lavora Albino ha un aspetto insolitamente materno, come doveva essere la Olivetti di cui Volponi è stato consulente. Non una fabbrica qualsiasi dunque, ma la fabbrica ideale. Agli operai sono concesse visite mediche, sussidi alla famiglia se in difficoltà, vacanze di un mese in montagna in albergo a spese della ditta, soggiorni di cura, visite da luminari (più di uno). C’è anche amore dell’operaio per il suo lavoro, non solo alienazione. D’altra parte proprio l'aspetto materno della fabbrica la rende subdola, lega ancora di più l’operaio suscitando in lui una feroce ribellione. L’aspetto ordinato, sacrale, la sicurezza economica, la tutela della salute e i sussidi alla famiglia rispetto al rischio del lavoro dei campi legato alle bizzarrie del tempo e alla salute del lavoratore sono una catena psicologica. La fabbrica assomiglia alla madre del protagonista che solo verso la fine del romanzo rivela il suo volto più squallido. Tra Albino e la fabbrica c’è un braccio di ferro silenzioso, sempre più pressante, simile a quello che si stabilisce in casa tra lui e la madre.
Nonostante la disponibilità del datore di lavoro, c’è una enorme difficoltà di comunicazione tra l’operaio e la fabbrica, ( e tra Albino e la madre), una impossibilità di aiutarsi reciprocamente quasi fosse inevitabile stare ai due lati di una barricata. Albino, malato di TBC, è anche affetto da una malattia nervosa, soffre di manie di persecuzione. Ma il suo atteggiamento patologico, la sua incapacità di comprendere la realtà rientra in una modalità diffusa dell’operaio di guardare le cose cogliendone il marcio dove c’è e dove non c’è. Probabilmente Albino cova la stessa divisione nell’animo- una oscillazione tra amore e odio- che nutre l’autore nei confronti della fabbrica. Da una parte, da comunista è portato ideologicamente alla lotta di classe, dall’altra è consulente della Olivetti che, con le sue materne aperture ai lavoratori, è disarmante. Tuttavia, resta questa incomunicabilità reciproca, che rende inevitabile la lotta e impossibile una sana collaborazione. La disponibilità del datore di lavoro suscita essa stessa ribellione anziché gratitudine come fosse una catena nascosta, per imbrogliare e catturare meglio la sua preda con l’inganno, anziché con un onesto scontro.
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