Dettagli Recensione
Il male di vivere
"Storia di chi fugge e di chi resta" è uno strano romanzo. Non è privo di problemi, anzi. È lento, lentissimo. Non succede praticamente nulla. Pagine e pagine di nulla o meglio di tormenti interiori di Elena, scontenta di tutto ciò che esiste al mondo, e solo ogni tanto uno sprazzo di eventi che mettono in moto la trama. Di tutto quello che succede a Elena in trecentottantadue pagine non c’è nulla che le piaccia, le vada bene o la renda davvero felice: il matrimonio zoppica, le figlie la sfiancano, la madre è invadente, la scrittura non va, i suoceri la fanno sentire eternamente debitrice, Lila la provoca, Nino non si fa vedere. Una nebbia di angoscia e insoddisfazione si solleva fitta dalle pagine e si fa fatica a liberarsene anche quando si chiude il libro. Eppure non si può dire che questa spiacevole sensazione sia dovuta alla particolare bravura della Ferrante nel far uscire il racconto dalle pagine, perché è semplicemente un elenco, una lunga serie di guai e psicodrammi di vario genere che lasciano addosso un male di vivere che neanche il cavallo stramazzato e la foglia accartocciata di Montale. Si arriva a un punto in cui non se ne può più di questo libro e lo si mette da parte per un po’, ma se poi capita di riprenderlo in mano, di aprirlo e leggere qualche riga, si deve continuare e non si riesce a metterlo giù, anche solo per la voglia di avvicinarsi alla parola fine e scoprire dove va a parare. È contraddittorio? Forse, ma è così. Poi arriverà un altro momento in cui non se ne può più e la trafila ricomincia, fino all’ultima pagina.
Quasi tutti i personaggi diventano ancora più intollerabili di prima, a cominciare da Elena, che si lamenta di tutto e tutti senza mai fare nulla di concreto e utile per migliorare quello che non le piace e poiché la narrazione, a differenza dei due romanzi precedenti, si concentra molto di più su lei che su Lila, il risultato è che viene voglia di dargliele una volta sì e l’altra pure. I personaggi che non peggiorano restano così come sono, da Lila, che inizia a guardare male suo figlio quando capisce che è di Stefano e non di Nino, allo stesso Nino, che mette in scena con Elena lo stesso, identico, squallido copione usato con Lila, ma lei è troppo impegnata a saltellargli intorno e non se ne accorge, credendo che finalmente sia arrivato il vero amore e di essersi presa una rivincita su Lila, perché lo Scemo (ovvero Nino) ha scelto lei e non l’amica. Questo sì che è femminismo.
Pietro è l’unico per il quale si può provare, a tratti, un po’ di vera solidarietà, perché almeno, nonostante i suoi errori, ha un progetto di vita e cerca di metterlo in pratica con impegno e serietà. E poi già il fatto che sopporti Elena e le sue lagne senza fine va a suo merito. Peccato che alla fine del libro la sua reazione alla separazione dalla moglie sia tale da far precipitare anche lui e quindi, a conti fatti, non si salva nessuno, a parte quel santo di Enzo Scanno che rimane l’unico personaggio decente di questa storia e che meriterebbe molto più spazio. Onore a Enzo.
Eppure, come si diceva all’inizio, questo è uno strano romanzo e nonostante tutto a fine libro si è ancora lì a pensare "Andiamo avanti, vediamo come va a finire". La Ferrante non sarà una grandissima scrittrice, però ha questa misteriosa capacità di spingere a continuare anche se non si riesce nemmeno a capire perché. Anche questo è un talento, in fondo.
Indicazioni utili
- sì
- no