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Il giorno della civetta
 
Il giorno della civetta 2019-09-28 10:21:24 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    28 Settembre, 2019
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«Nel fondo di un pozzo»

Quando Leonardo Sciascia scrive "Il giorno della civetta", nel 1960, nella letteratura italiana manca ancora un’opera che racconti la mafia non in toni folkloristico-sentimentali o come un innocuo stile di vita sui generis (il così detto “sentire mafioso”), ma per quello che è, un’associazione a scopo delinquenziale, un sistema parassitario che poggia su interessi economici e rapporti politici e invece di svilupparsi nel vuoto e in assenza dello stato, come si potrebbe pensare, cresce al suo interno, fino a farlo marcire. A tale mancanza sopperisce il breve romanzo – o lungo racconto – che Sciascia intitola "Il giorno della civetta" in onore di una citazione shakespeariana tratta dall’Enrico V («come la civetta quando/Di giorno compare»), perché è esattamente ciò che accade al giovane capitano dei Carabinieri Bellodi, emiliano trapiantato in un paese della Sicilia, che si ritrova davanti all’alba, sotto forma di una sparatoria, ciò che dovrebbe vivere soltanto nell’ombra della notte, come la civetta, e che invece, grazie ai legami sempre più forti con il mondo della politica e del potere, sta venendo spavaldamente alla luce: la mafia.
In apparenza romanzo giallo, "Il giorno della civetta" è invece un’opera di denuncia diretta, cristallina e senza fronzoli, ispirata a un episodio realmente accaduto, di un fenomeno del quale all’epoca si negava addirittura l’esistenza, nonostante le numerose interrogazioni parlamentari sui «fatti di sangue» della Sicilia, tutte scivolate inesorabilmente nell’oblio, e i saggi e le inchieste scrupolosamente citate da Sciascia nell’Appendice del romanzo. È un muro di omertà, paura e connivenza che Bellodi si trova davanti nelle sue indagini sull’omicidio di uno dei soci di una cooperativa edilizia, Salvatore Colasberna, freddato da due colpi di lupara mentre sale su un autobus nella piazza del paese, davanti a decine di testimoni che rifiutano di testimoniare alcunché («Perché, hanno sparato?» domanda il “panellaro” che tutte le mattine vende la sua merce ai passeggeri dell’autobus). Le parole che raccoglie compongono «un discorso che dice e non dice, allusivo, indecifrabile come il rovescio di un ricamo: un groviglio di fili e di nodi, e dall’altra parte si vedono le figure». Nella limpidezza assoluta, cristallina dello stile di Sciascia, simile alla voce della ragione che tenta di mettere ordine nel caos di sangue, menzogne e violenza della realtà, si disegnano immagini dalla forza eccezionale: le “confidenze” di un delatore, «un filo da tirare che, a saper fare, avrebbe potuto smagliare tutto un tessuto di amicizie e di interessi», oppure una confessione pericolosa, il cui autore è stato afferrato dai Carabinieri «così saldamente che è come uno di quegli anelli murati nelle case di campagna per attaccarci i muli», e ancora gli «sbirri» che «tessono vento» con le loro indagini destinate a dissolversi nel nulla davanti alla potenza del sistema mafioso.
Nonostante l’impeccabile ricostruzione dei fatti da parte di Bellodi, che lotta senza retorica nel nome della giustizia e della libertà, il caso Colasberna arriva a un passo dal processo per poi dissolversi nel vento, proprio come era stato profetizzato, nel caos di una seduta parlamentare che, a chiusura del romanzo, ribadisce sdegnosamente che «la cosiddetta mafia» non esiste nemmeno, «se non nella fantasia dei socialcomunisti».
«La verità è nel fondo di un pozzo», dice don Mariano Arena, il capo mafia locale che Bellodi non riuscirà a incastrare per un soffio, salvato da una rete di legami con il potere così stretta da stritolare la verità. «Lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità». Bellodi è sceso nel fondo del pozzo e ha trovato la verità e anche se si è dissolta nel vento, sa già che da quel pozzo non potrà più uscire e che continuerà a provare fino a quando, un giorno, la verità sarà abbastanza grande e forte per liberarsi dalla rete.
«… sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.
“Mi ci romperò la testa” disse a voce alta».

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Commenti

6 risultati - visualizzati 1 - 6
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Kathy, giustamente ricordi la portata storica di questo libro che ha aperto nell'alta letteratura un filone importante di indagine letteraria.
Vedo che ti è molto piaciuto. Personalmente trovo migliori altri libri del grande autore siciliano, come "Ciascuno a suo modo" o il breve "La scomparsa di Majorana" .
siti
29 Settembre, 2019
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Ottimo commento.
lapis
30 Settembre, 2019
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Molto bello il tuo commento a un romanzo che considero anch'io davvero splendido.
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Cathy
30 Settembre, 2019
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Ciao, Emilio! "Il giorno della civetta" è il primo romanzo di Sciascia che ho letto e per ora è l'unico, quindi non posso fare paragoni, però ho intenzione di leggere prossimamente "Todo modo" (che ho anche già acquistato). Mi è piaciuto moltissimo, è vero, al di là del suo valore storico trovo anche che sia scritto molto, molto bene. Comunque sono curiosa di leggere altro di Sciascia, così potrò scegliere il migliore anche io ^^.
In risposta ad un precedente commento
Cathy
30 Settembre, 2019
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Grazie, Laura, come sempre! ^^
In risposta ad un precedente commento
Cathy
30 Settembre, 2019
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Grazie! Be', lo è davvero!
6 risultati - visualizzati 1 - 6

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