Dettagli Recensione
Eros e Thanatos
Romanzo sontuoso e impervio questo di Bufalino, come una grande sonata che non manca di ricordare in ogni movimento la sua prosopopea barocca e la sua esigente pesantezza. Tre anime almeno mettono mano al pentagramma narrativo del testo: il gusto acribico, filologico, per la parola desueta, inusitata, arcana, che l’autore sceglie prima ancora per il suono che per il contenuto; il tono elegiaco e malinconico che si insinua prepotente in ogni immagine e poro della trama per vagare lungo le piane di una vita alla deriva; e infine la voce dissacrante, satirica che già dal titolo, tronfio e altisonante, prova a calibrare un testo tanto impegnativo quanto difficile da gestire. L’atmosfera di sogno, quasi onirica, la sospensione della realtà in una parentesi inespansa è già tutta nell’incipit, che si apre con “O”, come a continuare un altro discoro, un’altra storia, un’altra vita. E in effetti in uno spazio sospeso vivono i personaggi, rinchiusi in un sanatorio palermitano per guarire o morire di tubercolosi: mai come qui lo spazio geografico si fa riflesso di una condizione spirituale, quella dell’uomo che, condannato a morte, si ritrova in biblico tra essere e non essere, vissuto da una febbre di libertà che continuamente nega se stessa. E nella morte, l’amore, perché il bacio tra Eros e Thanatos è un fiore che sboccia e l’unica pietà che pare possibile.
"Diceria dell’untore" è un libro meraviglioso nella sua complessità stilistica, nel suo prosare ostico e, per altro, sfrondata di un ricco paratesto di poesie ed epigrammi, indici tematici e altro, che l’autore o l’editore saggiamente hanno deciso di spostare in appendice. Bufalino scrive un libro di maturità senile, decantato e distillato, curato in ogni singola frase alla ricerca di una perfezione formale tanto levigata da risultare quasi fastidiosa. Molto avrebbe da insegnare sull’uso delle parole, su accostamenti e immagini particolarmente efficaci e insoliti che costellano la narrazione e che proprio in questa unione di altissimo e bassissimo, sacro e profano, trovano la loro forza esplosiva.
Certo il libro soffre, per sua stessa natura, di una gravosità a tratti opaca, di un certo compiacimento che a volte precipita in una verbosità esasperata quando invece dovrebbe lasciare spazio al silenzio e alla parola muta. Un rischio che, come detto all’inizio, Bufalino tenta di stemperare con l’ironia, ma anche qua non sempre è sufficiente. Quello che ne risulta è un romanzo che a volte rischia di collassare per forza di gravità, ma che certamente merita lettura, col giusto stato mentale, se non altro per le bellissime pagine disseminate qua e là, pure vibrazioni di materia. Come quando, riflettendo sulla luce, il personaggio principale immagina che da qualche parte dell’universo, ad anni luce di distanza, un osservatore vedrà ancora il tempo passato e che anche noi, in un certo qual modo, in un punto via via più lontano dell’universo, siamo eterni.
p.s. Mi ha un po' disturbato, ma per una mio personale concetto del rapporto autore-lettore, l'indice dei temi in appendice, o anche le note esplicative che Bufalino ha sentito la necessità di apporre. L'interpretazione del lettore è tutto, bisogna resistere alla tentazione (che ben capisco) di indicargli la strada.
Indicazioni utili
Commenti
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |
Ordina
|
Si, stasera ho letto le pagine iniziali di quest'opera e nonostante mi fossi preparata leggendo L'uomo invaso (bellissimo il primo racconto), mi sono resa conto che la Diceria richiede più concentrazione e curiosità. Ma ce la farò :)
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |