Dettagli Recensione
Corpo
«Il Corpo è meschino. Vuole solo la sopravvivenza. Cemento, inquinamento, insolazioni, irritazioni, tutto gli dichiara guerra. Per lui è sempre troppo caldo o troppo freddo, per lui si mettono e si tolgono le uniformi. Il grido del Corpo ferisce. A volte è per il sole cattivo, la sete, la fame; a volte non si sa proprio perché. Sterilizzare, disinfettare, lavare, anche in mezzo alla notte, anche quattro volte prima dell’alba, perché il Corpo pesa tre chili ma ha zero grammi di compassione.»
Quando Bea decide di rivolgersi alla Human International, un franchising internazionale di donatori di sperma, è una donna di poco più di quarant’anni, sola. Pensa così facendo di poter trovare quell’amore che non ha mai avuto e di poter così vincere quella perenne sensazione di solitudine che l’accompagna. Riempie quindi il questionario on-line con i possibili donatori, sceglie la tipologia di seme che predilige, immagina il volto di quello che sarà il suo futuro bambino. Pensa di sapere cosa vuol dire essere madri, lo considera una cosa di cui ormai tutto è noto. Alla fine, non ha aspettative perché quando decidi di diventare genitore sei nuda anche di queste.
«Una madre è madre, ha sentimenti limpidi, e se non li ha tanto peggio, perché nessuno può accogliere una madre. Una madre è per definizione colei che accoglie.»
La pancia diventa sempre più prominente e pesante, Corpo pesa prima due chili, poi supera i tre. Già da qui inizia a rendersi conto che forse il mestiere di madre non è proprio nelle sue corde. Vive la sua gravidanza come un A.C, avanti corpo, e un D.C., dopo corpo. E in tutto ciò si vede deformata, appesantita, affranta, trasformata.
Ma poi Corpo nasce e allora comprendi che «non sei tu ad avere un figlio, ma è il figlio a possedere te. Eppure non ci arrivi subito, sei troppo presa a pensare per capire, capire davvero ciò che Corpo sente». Perché Corpo non è sinonimo di felicità, ma di angoscia. Ti fa dormire poco, sei poco lucida, sei irriconoscibile. Non sei fatta per fare la madre a tempo pieno, non riesci nemmeno a chiamare tuo figlio con il suo vero nome. Risenti anche dei paradossi della vita mentre cerchi la tua tata perfetta, mentre ti confronti con donne che si sentono madri, che hanno avuto tanti figli mentre tu ti sei dovuta rifare alla provetta, quasi pentendotene, sotto sotto. Perché alla fine non volevi essere più sola ma non solo lo sei ancora, lo sei ancora di più. Riuscirai mai a provare amore per il piccolo Arturo? Riuscirai mai a vedere in lui qualcosa di diverso da un semplice Corpo invasore di sfere personali e di quella che un tempo era la tua vita?
Silvia Ranfagni ci parla di maternità in termini molto diversi da quelli che siamo abituati ad immaginare o a leggere. Il suo è un excursus crudo e duro di un momento molto particolare della vita di una donna. Non ne esalta tanto i pregi o i momenti positivi quanto al contrario le paure, i timori, i pensieri nascosti che ciascuna cova dentro risultandone, talvolta, addirittura schiacciata.
Il risultato è quello di un componimento che resta, che non si dimentica e che mostra una prospettiva forse non molto condivisa o amata di un qualcosa che cambia completamente la vita.
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