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Febbre dell’anima
Nelle vene del diciottenne Antonio scorre fragilità, risentimento e ribellione famigliare. Come per tanti altri giovani, e forse un pizzico di più. Perché è difficile crescere nell’ombra della malattia, quell’epilessia idiopatica manifestatasi da bambino e curata, ma sempre percepita come una condizione inconfessabile e vergognosa, una macchia incompatibile con il successo e la perfezione degli illustri genitori. La famiglia può così diventare un campo di battaglia, una guerra di silenzi e rancori.
È in questo momento della vita che Antonio parte per un viaggio di tre giorni con suo padre, tre giorni che finiranno per cambiare tutto. Una città misteriosa, affascinante e pericolosa: Marsiglia. Una situazione straordinaria e irripetibile: dover rimanere svegli insieme per 48 ore per verificare l’effettiva guarigione di Antonio dalla malattia. L’occasione per vedersi davvero, per raccontarsi forse per la prima volta, per scoprirsi uomini prima ancora di padri e figli.
“In strada ci guardammo negli occhi ed ebbi come la sensazione che fosse la prima volta che accadeva davvero”.
Un bel romanzo di formazione, scorrevole e piacevole alla lettura, che attraverso il racconto di un confronto generazionale si propone di farci riflettere su quante emozioni, storie e sfumature si possono vedere, sapendo volgere lo sguardo oltre le uniformi e le maschere della quotidianità, nel cuore delle persone che ci circondano.
L’ambientazione è sicuramente di grande fascino e lo stile come sempre fluido e pulitissimo, a tratti - a voler trovare un difetto - addirittura quasi fin troppo levigato da perdere un po’ di spontaneità. Il risultato è a mio avviso una bella lettura, intima e coinvolgente, impreziosita da una nota malinconica, che vibra di rimpianto e fatalità, capace di risuonare nel cuore e commuovere.
“Lo sai che mi sto divertendo? Quella frase mi spezzò il cuore”.