Dettagli Recensione
Una toccante testimonianza di rivincita sociale
Una storia toccante e vera di riscatto sociale, di ribellione contro le condizioni di analfabetismo e arretratezza socio-culturale imposte da un padre patriarca, padrone dei figli, della moglie, della casa e della poca ‘roba’ , frutto di lavoro instancabile e di sacrifici inimmaginabili. Siamo a Siligo , nel Sassarese, all’incirca nella seconda metà del Novecento. Sin dalle prime pagine ci si ritrova immersi totalmente e profondamente in una Sardegna pastorale, selvaggia e povera, una realtà in cui lo stesso pastore, protagonista della storia, sembra mimetizzarsi e diventare tutt’uno con la natura. Immensi pascoli di silenzi, in cui si ode la sola voce della natura : belati di capre e di pecore, cicalecci, pigolii di uccelli, fischi per richiamare il bestiame. Una realtà fuori dalla storia e dalla società. Miseria e povertà al limite, soprusi ai danni dei più deboli, l’assenza totale dello Stato e di ogni forma di giustizia che trova risposta nel banditismo. Una questione sarda che va ad affiancarsi alla ben più nota ‘questione meridionale’.
‘Sardigna no est Italia’ si dice ancora talvolta in quest’isola, con un pizzico di orgoglio ed anche di amarezza, perché, diciamocelo: la Sardegna tutt’ora soffre di questa emarginazione, la sua insularità è tutta speciale e ben più diversa dalla sorella Sicilia. Ma in questo commento non voglio e non posso dilungarmi su questa mancata ‘continuità’non solo territoriale, tra l’isola e il continente, posso solo limitarmi a constatare e ricordare che c’è e fa a pieno titolo parte dell’Italia, al di là del Tirreno, una perla di storia e di bellezze da tutelare e valorizzare anche nel suo interno. La Sardegna non è solo costa e spiagge, non è solo l’isola delle vacanze.
Ma torniamo al libro.
“Padre padrone”, vincitore del Premio Viareggio 1975 e oggetto di trasposizione cinematografica, non è altro che l’autobiografia di un pastore che rimane analfabeta fino a vent’anni. Strappato dal padre alla scuola primaria dopo le prime settimane di lezioni, per farsi aiutare nel lavoro all’ovile, a Baddhevrùstana (Vallefrondosa), lontano dalla piccola cittadina di Siligo. Di mese in mese il carico di lavoro sulle spalle del piccolo Gavino aumenta, non esiste riposo. Oltre alla mungitura delle pecore all’alba e al tramonto, c’è il duro lavoro nei campi e nelle vigne prese a cottimo. Nell’età delicata , nei primi anni in cui si perfeziona e si consolida il linguaggio umano, Gavino passa ore ed ore in completo silenzio e nella più totale e desolante solitudine, al di fuori del consorzio umano al punto da trovare disagio nel parlare coi familiari nei giorni in cui scende dall’ovile e si fa lavare e spulciare dalla madre.
“La natura tutta del nostro campo era qualcosa di cui ormai io facevo parte. (...) Ero entrato e ricresciuto nel mondo animale, minerale e vegetale e non potevo più sentirmene fuori. La solitudine del bosco e il silenzio profondo dell’ambiente, interrotto solo dal vento, dai tuoni o dallo scoppio di un temporale in lontananza d’inverno, orchestrato dal canto degli uccelli e dal crogiolarsi della natura in primavera, ora per me non era più silenzio. A furia di ascoltarlo avevo imparato a capirlo e mi era divenuto un linguaggio segreto per cui tutto mi sembrava animato, parlante e in movimento. (...) Quasi conoscessi tutti i dialetti della natura e li parlassi correttamente al punto da impostare con essa, nel mio silenzio raccolto, le uniche conversazioni che mi erano possibili”.
Le occasioni per incontrare qualche pastorello e qualche ex compagno di scuola sono rare e Gavino gode di quei fugaci momenti come un ladro che ruba tempo al lavoro imposto e richiesto dal padre. Il tempo dedicato ai campi e al duro lavoro impediscono a lui ed ai suoi fratelli e sorelle di ricevere le basi dell’istruzione.
Un padre patriarca, lui lo definisce così, violento, iracondo quando i figli non lavorano quanto lui desidera, manesco all’inverosimile anche ai danni del bestiame. Ho letto pagine di violenza gratuita ed ingiustificata che farebbero accapponare la pelle oggi alle associazioni animaliste ed ai volontari del Telefono Azzurro.
In questo libro e in questa realtà non esistono le mezze misure. Passioni violente e primordiali, paesaggi arsi dal sole o bruciati dal gelo, prepotenza dei forti e mitezza dei deboli. La via di mezzo è assente su ogni fronte.
Ciò che colpisce più di tutto è la nuova consapevolezza che si fa strada nel cuore di Gavino e lascia un messaggio forte: liberarsi dalle catene del suo padre padrone, fuggire da questo inferno fatto di lavoro che sfinisce e ti tiene lontano dagli altri esseri umani, si può. Lasciare l’amaro borgo natio e costruire un futuro diverso all’insegna della libertà e dell’autodeterminazione è possibile. “Tu vieni dalle spelonche, Ledda” si sentì dire un giorno dal comandante del reggimento di cui faceva parte, questa affermazione e tanti insulti dai suoi commilitoni ‘italiani’ non gli impedirono di studiare di nascosto quando gli altri dormivano o andavano a divertirsi fuori della caserma.
Con una forza di volontà incredibile ed ammirevole, Gavino riesce ad affrancarsi grazie alla cultura e all’istruzione. È un inno al desiderio di imparare, al seguire le proprie inclinazioni perché la volontà può tutto, non è mai troppo tardi per imparare a leggere e a scrivere, a costruire una radio perfettamente funzionante, a suonare uno strumento musicale. La cultura ha reso libero Gavino Ledda e sappiamo, al di fuori del romanzo, che riuscì a conseguire anche la Laurea in Lettere alla Sapienza di Roma, lottando contro il pregiudizio di fondo di suo padre e dei suoi compaesani.
Un messaggio forte, da condividere, dalla Terra dei Quattro Mori.
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Commenti
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Stendiamo un lenzuolo pietoso...
Da noi è un must, tocca anche altre questioni trasversali come la conversione dei pastori in operai nelle famose cattedrali del deserto, ora tutte chiuse. Il nostro è un territorio a vocazione pastorale: frequentate il territorio di Baunei, esempio ancora vivo delle tradizioni e della cultura indigena. G-r-a-z-i-e !!!!
A si biri...ho scritto bene? Ahahahah
Hai messo ben in evidenza anche il senso di solitudine profonda in cui era cresciuto Gavino Ledda; la solitudine della natura si coglie, infatti, perfettamente durante la lettura del libro, un silenzio spesso pesante da sopportare. Sono felice che tu abbia tanto apprezzato questa lettura!!! :)
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