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Vivi, Samia, vivi come se tutto fosse un miracolo
«Sai, aabe, certe cose si sanno. Io lo so da quando ancora non parlavo bene che un giorno sarò una campionessa. È da quando ho due anni che lo so.»
Lo ha sempre saputo, Samia. Correre e diventare una campionessa come Mohamed Farah è il suo destino. Un destino scritto e che ha già iniziato a solcare ma la cui realizzazione diventa sempre più difficile, per non dire irrealizzabile. Perché Samia è somala, vive in una piccola realtà del luogo fatta da povertà e dalla guerra. Un conflitto di cui a lei e ad Alì, il suo amico del cuore, la sua anima gemella, il suo allenatore, non è mai importato nulla perché per quanto questa potesse imperare non poteva toglierli l’uno all’altra. Hanno appena dieci anni all’inizio di questa storia vera ma il loro cuore batte e pulsa per quel futuro che non ha contorni definiti in una realtà che non esita a privarli di tutto, che non esita a spezzare i loro sogni. Tuttavia, è proprio questa belligeranza perpetrata che ha risvegliato la giovane protagonista donandole quella motivazione, quel qualcosa per cui lottare.
«Ecco, la guerra, per esempio, mi ha portato via il mare. Però, in compenso, mi ha fatto venire voglia di correre. Perché grande come il mare è la mia voglia di andare. La corsa è il mio mare.»
Poi, in un solo giorno è accaduto quello che mai dovrebbe succedere da nessuna parte.
«Un giorno, un giorno come qualunque altro, senza niente all’orizzonte, né cataclismi né rivoluzioni. In un giorno tutto è cambiato.»
Da un giorno all’altro è stato vietato di ascoltare la musica.
Da un giorno all’altro sono stati chiusi i cinema perché alimentavano i sogni.
Da un giorno all’altro gli uomini sono stati obbligati a indossare pantaloni lunghi, non potevano più farsi vedere per strada con quelli corti. E dovevano anche rasarsi i capelli a zero, oppure portarli lunghi, in stile afro, con le barbe lunghe perché le mezze misure non erano più contemplate.
Da un giorno all’altro le donne non potevano fare più niente, rischiavano anche a camminare per strada. Provarci senza burqa rappresentava un azzardo caro quanto una vita.
Da un giorno all’altro le tradizioni del paese sono cambiate.
Da un giorno all’altro la punizione più grande di tutte: tenere spenti i pochi lampioni che di sera illuminavano alcune piazze del centro e quale viuzza, rendendo quei luoghi delle vere e proprie biblioteche a cielo aperto dove le ore potevano trascorrere leggendo un romanzo, leggendo un quotidiano vecchio, leggendo una lettera o un biglietto d’amore.
In un solo giorno Al-Shabaab era riuscita a radere al suolo la speranza di un popolo intero.
«Tutto ciò che fino a quel giorno era stato difficile da realizzare ma possibile, era diventato impossibile. Il sogno, la speranza e la libertà erano stati cancellati con un’unica mossa.»
Che fare? Come affrontare questa nuova condizione? Rinunciare ai propri desideri? Provare a continuare ad inseguirli anche se ciò significa mettere in pericolo i nostri cari? Samia e sua sorella Hodan decidono di non arrendersi e di provare a continuare a combattere. La separazione da Ali, la prima vera vittoria a Gibuti, la menomazione e la morte di uno dei punti di riferimento della vita di ogni persona, le Olimpiadi di Pechino del 2008, il ritorno in una Somalia sempre più piegata dalle armi, dalla violenza, dalle privazioni, dall’odio. Il “viaggio”. Perché dopo l’ennesimo colpo basso di quel paese che gli ha portato via tutto attraverso la voce di colui che sempre l’ha spinta a dare il massimo, è giunta l’ora di lasciare quella terra, di andarsene.
«”Arriva presto” mi ha detto ieri sera Mannaar. “Zia Samia…” ha fatto una pausa, “…non far venire i mostri… Non dirmi che hai paura”. […] “No, piccola Mannaar, non ho paura. Mai”, ho risposto.»
Un’odissea durata oltre sedici mesi, un’odissea che ha visto i migranti attraversare stati, attraversare il Sahara, passare da un carceriere all’altro, giungere il Libia per attendere nuovamente delle proprie sorti in funzione e in volontà del trafficante di turno, un’odissea il cui epilogo amaro non può che invitare alla riflessione.
«C’è nei nostri corpi, un fremito che è un misto di prudenza e di speranza. Nessuno parla, perché parlare sarebbe nominare l’una o l’altra. E nominare le cose fa esistere, quindi per questa notte è meglio di no. È meglio che la prudenza resti chiusa dentro ognuno di noi, e che la speranza cresca, magari piano, durante il viaggio. Solo allora, soltanto alla fine, potremo gioire, e lo faremo tutti insieme. Piangeremo e rideremo insieme, e sarà bellissimo.»
Perdona Samia, perdona questa follia degli uomini.
«Corri, Samia, corri come se non dovessi arrivare in nessun posto… Vivi, Samia, vivi come se tutto fosse un miracolo…»
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Lo hai guardato il video delle Olimpiadi dove c'è Samia?