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Cercando Camus
Romanzo del 1947, successo di pubblico e di critica ma ben lontano da quella forma perfetta raggiunta nel romanzo d’esordio “Gli indifferenti”. Potremmo definirlo un romanzo appartenente al genere del realismo psicologico, interessante per ambientazione, Roma fascista ai tempi della guerra d’Etiopia, e per i personaggi ritratti: una popolana, prostituta e in coppia con una madre vedova e sconfitta dalla vita, un ragazzo popolano autista presso una ricca famiglia, un giovane studente provinciale appartenente alla media borghesia, un poliziotto , un delinquente. Se vogliamo è presente, con la sua impronta, anche tutto un sottosuolo di umanità sfatta, povera ma viva e pulsante: sono le amiche di Adriana, la giovane prostituta, sono i clienti che si aggirano per strade buie e per taverne e per logore stanze in affitto il tempo necessario per consumare. Il tutto rappresentato dalla voce narrante della stessa Adriana che racconta pochi anni della sua esistenza , dalle pressioni subite dalla madre che, data la sua bellezza giunonica ma non più alla moda, cerca di farla sfondare, appena sedicenne, come modella riuscendo però solo a farla posare nuda per alcuni pittori, fino al suo primo innamoramento, alla delusione per una storia che non potrà avere futuro e al tramonto delle sue speranze giovanili di matrimonio e figli fatte coincidere con il passaggio al mestiere. Da quel momento Adriana diventa un personaggio autonomo, tutta la prima parte era invece tesa a rappresentarla come succube di una madre arrivista, è ora capace di scelte, vittima a questo punto solo della sua condizione sociale. Tuttavia, proprio i molteplici rapporti intrattenuti con i vari clienti la portano a una razionale decodifica della realtà che, pur non facendole mancare momenti di grande sconforto, le daranno anche la possibilità di rafforzare la sua personale attitudine verso la vita, un sano ottimismo, una rassegnata accettazione. Lei diventa il fulcro sul quale convergono individui molto più combattuti intimamente, incapaci di vivere, preda dei propri istinti, delle proprie emozioni o peggio in balia di una totale assenza di linfa vitale, come nel caso di Mino, il giovane studente borghese, vero e proprio nichilista . Questa complessità umana è filtrata dallo sguardo di una popolana, Adriana appunto, e benché lei stessa si rappresenti limitata nell’intelletto e profondamente ignorante , risulta però capace di una lettura che è evidente traduzione del sentire dell’autore che l’ha messa in scena. La sua voce, le sue parole, la profondità di analisi psicologica tradiscono purtroppo l’intellettuale Moravia, e questo è il limite, a mio avviso, più evidente dell’opera. Il romanzo è tuttavia scorrevole, godibilissimo, a tratti noir, capace ad ogni modo di evidenziare una critica al mondo borghese, costante dell’opera dell’autore, che, rispetto al vivace pullulare di vita del ceto popolare privo di sovrastrutture culturali, ne esce sconfitto e mortificato. Ancora una volta sull’onda di un latente esistenzialismo.
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