Dettagli Recensione
Vox populi
Il gusto del narrare, a dispetto di una materia autobiografica difficile da governare perché frutto di quello che viene avvertito come un fallimento esistenziale che altro non è che uno stato di malattia, in questo romanzo bello, fresco e originale non viene mai meno. Direi anzi che è l'essenza che regge la materia narrata meglio e più delle contingenze legate al puro contenuto. Uno stile dallo stesso Berto definito psicoanalitico, un libero fluire di parole per associazioni che non portano al pericolo di far perdere la bussola al lettore come avviene con la tecnica del flusso di coscienza ma che, al contrario, aprono nuovi quadri narrativi che si comportano come tasselli di un medesimo puzzle, ogni bordo coincide giustappunto con altri e si regge in un tutto grazie ad essi. Un gusto del narrare che la stessa malattia ha messo in crisi non fossero bastati un'altra serie di elementi concomitanti: Berto è inviso agli ambienti letterari dell'epoca, è stato fascista, ha scritto opere di facili successi, non si allinea anche quando, e lo fa più volte ma a modo suo, riconosce deleterie le sue precedenti simpatie politiche situandole nel mero dato biografico - ecco perché bisognerebbe conoscerlo un uomo prima di giudicarlo (e non parlo di non giudicare affatto, pratica secondo me misconosciuta a qualsiasi esemplare di essere umano) – e si comporta ora come un non allineato. Certo sono i tempi della dolce vita, quella felicemente ritratta da Fellini, ma lui viene da Mogliano Veneto sebbene risieda nella capitale. Insieme a lui a Roma c'è anche l'ombra paterna, quella dalla quale è sfuggito e che anche dopo la morte lo assilla al punto tale da far esplodere una nevrosi che covava da tempo. La narrazione si apre appunto nel pieno del conflitto familiare nel momento della morte del padre, siamo subito allineati alle bellissime pagine del romanzo di Svevo, La coscienza di Zeno, e Berto ne è pienamente consapevole ma lo stacco è immediato, l'impronta c'è ma il solco ora tracciato vivrà di un altro respiro. Concomitante all'evento tragico la narrazione procede impietosa a inanellare i molteplici episodi in cui il male si manifesta e tutti hanno una precisa collocazione nel corpo e nelle sue manifestazioni dolorose, è il dolore la spia prima del malessere, dolore localizzato nelle vertebre lombari, e nello stomaco se non negli intestini. Si arriva perfino ad un intervento urgente per sospetta peritonite: si taglia e si cuce senza nulla trovare. Forse è l'ulcera duodenale il vero male... Esilarante, divertente oserei dire e non abbiatene a male, a me questo Berto sta proprio simpatico, al limite tra il tragico e il comico. Ha avuto la capacità di esorcizzare il suo male con un'infinità di espedienti, e qui ci si ritrova tutti, non necessariamente perché nevrotici, basta un banale attacco di emicrania o anche l'herpes simplex, che tutto è tranne che semplice se recidiva. Ha inoltre avuto il coraggio di sperimentare l'analisi e con buoni risultati fidandosi del transfert e traendone indubbio beneficio e soprattutto non ha del tutto messo a tacere il suo super-Io che ambendo, con buona dose di narcisismo, al capolavoro e alla gloria imperitura, non ha avuto tutti i torti. Leggetelo per riappacificarvi con Zeno, per incuriosirvi verso Gadda, a cui si deve da “La cognizione del dolore” il titolo stesso del romanzo, o se per caso siete passati per Pomella e il suo “L'uomo che trema”. Leggetelo anche per dare uno schiaffo morale a chi non credeva alla voce di uno scorbutico, non allineato e molto critico verso i salotti buoni, gli unici che potessero partorire buona letteratura, naturalmente con il gioco di rimandi interni fatti di recensioni, amicizie nell'editoria e buoni divani.
Indicazioni utili
La coscienza di Zeno
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Per altro ho in libreria La cognizione del dolore di Gadda, magari li leggo vicini ;)