Dettagli Recensione
Anatomia emotiva...
Un libro poetico, triste e disperato, dove la cura e la scelta delle parole delineano alla perfezione la forma del dolore, il suo colore, la sua voce.
Parole precise, compresse, prosciugate come sangue rappreso su una ferita...così come prosciugato è il corpo della protagonista, custode di una disperazione muta.
Ossa di bambina offerte in cambio di un barlume di vita, di uno sguardo, un fiato e un calore che possa ricordarle, anche solo lontanamente, quello dell'uomo chiuso nella stanza di sopra, immobile, senza più promesse, senza più parole, senza.
Suo padre.
Lui che le ha tradite (lei e sua madre) sdraiandosi in quel letto per non alzarsi più, che ha smesso di fare colazione, di andare al cinema, di bere vino rosso, di essere padre, marito...impedendo a lei, Ester, di poter continuare ad essere sua figlia.
Non ci riesce più. Non sa come farlo.
Non riesce ad oltrepassare la soglia di quella stanza in cima alle scale.
È rimasta imprigionata nella bambina che è stata, che per 5 anni, per soli 5 anni, ha conosciuto la felicità.
Ed ora che di anni ne ha 15, e sente il peso schiacciante di quel corpo inerme caduto dal ponteggio, cerca di usare il suo (corpo) per liberarsi e insieme proteggersi dal vuoto che la attraversa come vento freddo, attraverso baci senza significato, mani distratte che la esplorano, toraci forti in cui affondare la testa, concessioni indesiderate che la rendono ancora più fragile.
Io non so se posso considerare questo libro un romanzo, forse potrebbe sembrarlo, ma non lo è.
È l'anatomia emotiva di una ragazza che vede la propria famiglia disgregarsi e, quasi come forma di ribellione, riproduce questa disgregazione dentro di sé.
La voce che si sprigiona dalle pagine è roca, impastata, lenta...
Un libro che ho sentito sottopelle, che mi è "arrivato" attraverso tutti i sensi.
- La vista...subito, nell'incipit...la scalinata di casa che, ad un certo punto della giornata, verso le sei di sera, è ancora illuminata dal sole, ma porta con sé già l'ombra e la malinconia della giornata che finisce.
Un'immagine che ha tutto il sapore del Sud, sapore di casa.
- L'olfatto...la stanza di sopra con il suo odore stantio di malattia, di medicine, di vita che si è fermata.
- Il gusto...che Ester non ha più. Non mangia più perché nulla ha più sapore.
-Il tatto...attraverso le mani e il corpo degli uomini a cui Ester concede se stessa, sperando quasi che possano riuscire a trovare dentro il suo corpo quella scintilla di vita che lei non sente più di possedere.
-L'udito...nella scena finale che non vi dirò.
Che esordio...?
La Postorino mi era già piaciuta molto ne "Il corpo docile".
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