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Perché il mondo non si è fermato?
«Perché sono vissuta? Non voglio morire senza una risposta. La mia vita è stata un’ingiustizia crudele, un gioco inutile. Perché io? Perché non posso essere come le mie sorelle, cellule del cuore, nate e perenni, tanto quanto la vita che sostengono, perché non posso anche io contrarmi e spingere il sangue, far vivere l’uomo a cui appartengo? Perché non posso essere un piccolo neurone, una scossa elettrica, un flusso di energia, perché non posso far parte di una rete che tutto pensa e tutto compie, nelle galassie sconfinate del cervello? Perché non posso essere che me, inutile cellula di un lembo di pelle che unisce ancora l’indice e il medio? E perché questa cellula, mia vicina sarà l’estremo difensore della materia e io, invece, appena più spostata, il futile pasto del nulla?»
Nascere, vivere, essere e morire in un percorso dell’esistenza dettato da tappe obbligate e imprescindibili ma, tuttavia soggettive, sono soltanto alcune delle tematiche che Daniele Sannipoli affronta in questo suo primo, ma affatto semplice, romanzo d’esordio.
Sin dalle prime battute, infatti, il lettore si rende conto di non trovarsi di fronte ad un elaborato con una trama lineare e dal ritmo dettato da personaggi che vengono presentati personalmente e da cui le vicende hanno luogo in un susseguirsi incatenato e intrecciato di eventi. E ciò perché protagonista indiscussa della narrazione è l’introspettività, l’io interiore, quell’io che viene messo alla prova e piegato da tutti quei dolori e quei mali che nel quotidiano si susseguono ininterrottamente. A ciò si aggiungano tutte quelle domande sul vivere e sul perché e il come vivere che ciascuno di noi, almeno una volta nel suo personale percorso, si è posto. Dubbi e interrogativi che cercano una e più risposte, che si interrogano inesorabili seppur soventemente incapaci di trovarle, quelle soluzioni.
«Annegato tra doveri e volontà, con questa vita che mi sfugge tra le mani, io non sono.»
«Ora ho capito perché non piango più. È che non mi concedo più di sbagliare.»
Voci. Voci che si uniscono, che si fondono, che urlano insieme nel silenzio più profondo. Alla ricerca, nella speranza, nel tentativo. Parole, parole, parole, parole che formano quell’intreccio, quel susseguirsi di esistenze che giungono al termine, di nuove esistenze che arrivano a nascere e ad affermarsi. Vite che si spezzano, vite che decidono di interrompersi per mano propria, vite che sono troncate da fattori esterni. Legami. Amore, famiglia, perdita. Solitudine. La paura. La soggettività. Perché ogni individuo è poliedrico, nel suo volto, nella sua psiche, perché ogni individuo è fatto di azioni e reazioni che si differenziano a seconda del confronto Dio/uomo, Padre/figlio, Madre/figlio, Compagno/Compagna, Vivere/sopravvivere a cui il protagonista è chiamato a dar suono.
Tanti i riferimenti letterari, quali quell’anima di Camus che sovente riecheggia nella penna dello scrittore e nella mente del lettore, tanti i riferimenti filosofici che reggono la struttura di questo scritto forse piccolo nella mole ma smisurato nel contenuto e nelle riflessioni che è capace di suscitare. E ha ragione Antonella Di Martino quando nella sua encomiabile prefazione invita il conoscitore ad affrontare la narrazione con «il respiro» che «deve farsi lento, per assaporare, collegare, riflettere». In quanto «il ritmo non s’impone al lettore, è l’attenzione che deve allacciare i diversi livelli di lettura, sfogliando il lessico ricercato e il periodare assorto. Le parole non sono leggere e nemmeno pesanti; ognuna possiede il suo spessore, livellato su misura».
In queste pagine l’avventuriero troverà la vita, la vita in ogni suo corollario e in ogni sua sfumatura, la vita in ogni sua conseguenza. C’è tanto di vero, tanto di concreto e chissà, forse anche di ricordo e di vero vissuto intimistico e personalissimo in “A tua immagine e dissomiglianza”, tanto che chi legge non può sottrarsi a quell’autoanalisi e a quella più recondita meditazione sul suo cammino, sul suo essere.
Una prima prova complessa, articolata, impegnativa che sorprende e non delude le aspettative e che fa ben auspicare per i futuri lavori di Sannipoli.
«Non c’è verbo che possa guarire, alleviare, placare, solo il rispetto muto per la sua anima che non c’è più. Nemmeno la morte è più sacra qui, il funerale, i fiori sarà tutta una vertigine di soldi e mani strette, il colore della bara, dei nastri, delle donazioni. […] Sarà la morte perché non riuscirò a perdonare la vita.»
«La domanda mi sorge spontanea, e non so più pensare. Il mondo non si è fermato e io non capisco perché. Eppure il rumore è stato così assordante e il silenzio, dopo, così vuoto che tutti se ne sarebbero dovuti accorgere.»
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