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“La speranza è l’illusione che ci mantiene in vita
Consideriamo il cristallo, come lo si trova in natura, osserviamo la sua poliedricità. Nessuna faccia è identica all’altra. Così è la psiche umana. Essa assume aspetti e caratteristiche diverse in ogni singolo individuo. È questa la prima riflessione che sorge spontanea leggendo l’impegnativo romanzo di Daniele Sannipoli “A tua immagine e dissomiglianza”. Il rapporto uomo/realtà circostante varia con il variare delle condizioni materiali e spirituali del singolo. Nessuna realtà è uguale a un’altra, nessun individuo reagisce allo stesso modo. Qui il racconto, che rivela una buona conoscenza delle dottrine filosofiche, si concentra sul confronto Dio/uomo, Padre/figlio, sulla frustrante ricerca di una perfezione che avvicini il soggetto al modello o di una dissomiglianza che da esso lo allontani. Ed è alla parola che Sannipoli affida il suo pensiero, che si materializza in una potente capacità espressiva.
Il dolore è una costante nella narrazione, il dolore da affrontare, da gestire, da annullare, come costante è la consapevolezza che la cessazione di ogni dolore può coincidere solo con la morte. Eppure in questa cosciente analisi del mondo problematico in cui si dibatte l’individuo, c’è ancora posto per l’amore e per la speranza e per una vita che rinasce. Non a caso il primo capitolo è affidato alla voce di una cellula, la struttura più piccola di un organismo vivente che pronuncia queste parole: “Non ho più paura della morte, perché in questo istante, eternamente presente, ogni volta risorgo.”
Splendido il paragrafo che chiude il romanzo:
“E’ del colore dell’alba il mare stasera. Il morso del sale sulla pelle, la sabbia incrostata sulla pianta dei piedi, il bagno d’indaco e rosa tra le dita del cielo. Non c’è separazione tra l’orizzonte dell’acqua e l’altezza della luna, lo spazio collassato nel ceruleo eterno della fine. Il lucore tenue del tempo è durato lo spazio di un amen. Già non sono più corpo, risalgo i fondali del mare, schiuma sulle onde in un equoreo orizzonte. Plancton primordiale, galleggio, come un corpo morto, nel diaframma espanso di un respiro e mi libro, leggero, nell’aria. Sono la salsedine che riveste i capelli, desquama la pelle, sono una molecola d’acqua che nutre una pianta, inane germoglio di arbusti secolari, millenari, inabissati nel verdazzurro quieto di abissi profondissimi. Nudo e cristallino, vegetale e minerale, consumato dalla fiamma della vita, fossilizzo, bianco e calcareo, nella tiepida aria che soffia su un campo di grano. Sacro e primordiale, soffio via silenzioso. Non ho rimpianti, non ho rimorsi, non spero nella vita eterna, sono una preghiera della terra, che torna alla terra.
Muoio e sono in pace.”
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