Dettagli Recensione
Ieri e oggi
Arresti domiciliari. Un appartamento in via Dessiè di appena tre stanze, lei, Marghe, e Paolo Carpani, il padre. Una nuova forma di carcere, l’unica possibilità alla detenzione in piena regola. Il silenzio di quelle pareti color pesca, di quella nuova vita dettata dall’aver partecipato a delle attività terroristiche, o almeno di favoreggiamento. Ricominciare. Ricominciare quando sei una pentita, quando sei appellata dai tuoi stessi compagni quale “infame”. Quando ti senti tradita da tua madre, Anna, avvocato, che credi ti abbia fatto firmare quel verbale perché è una stronza, quando vuoi ritrattare, ma a che scopo? Con quale risultato? Un muro hai innalzato con lei perché talvolta è necessario avere un nemico, qualcuno a cui additare il proprio malessere. Prima di tutto, lo spazio. Uno spazio minimo che comunque è già più di quello in cui hai vissuto negli ultimi novanta giorni. Aria, sgombrare la mente, pensare. Vivere, andare avanti quando il passato ti attanaglia con le sue maglie e sembra imprigionarti. Pietro e quell’amore, quella inconsapevolezza che ti ha impedito di renderti conto che era diventato un orco che prova gusto a gambizzare e a manovrare una pistola, e poi Martino, quel fratello di quattro anni più giovane di te con cui sei in simbiosi come se foste gemelli, come se foste una cosa sola. Crescere. Combattere. Perché essere giovani non è fatto una passeggiata e rendersi conto di quel che sta accadendo, di come sopravvivere, di come restare a galla quando tutto sembra precipitare, non è affatto facile. Sara, l’altra sorella, relegata a una visione fatta di apparenza ma che in verità piange e soffre per quella nuova condizione di detenuta della consanguinea. E ancora Paolo, il padre medico che ha sempre un occhio di riguardo per i suoi pazienti, anche i terminali, a cui prescrive ricette su ricette di medicinali ma anche qualche buon succo di frutta perché fa sempre bene e Anna, una madre che cerca di fare il possibile ma che non riesce a farsi ascoltare, a dimostrarlo. Infine, l’atto. Quel gesto che ti apre gli occhi, che ti obbliga a far i conti con quell’associazione, che ti porta a interrogarti, perché non sai più chi sei ma sai anche che non vuoi essere un mostro. La consapevolezza dei propri errori perché «non si può cancellare tutto dando la colpa ai compagni… è sbagliato… è proprio sbagliato».
«Adesso Pietro era là fuori da qualche parte, i suoi compagni anche, in mezzo a ideali magnifici e azioni orribili. Loro erano sicuri di essere dalla parte giusta. Lei dov’era?»
Grazie a una prosa accattivante e magnetica è impossibile per il lettore restare indifferente a questo scritto che già dall’incipit cattura la sua attenzione per tenerla stretta in una maglia che non lascia mai, dall’inizio alla fine del componimento. Con “Cose più grandi di noi” siamo trasportati a cavallo del 1980 e per la precisione siamo in quei mesi che antecedono l’affermarsi di quella legge sul pentitismo che oggi ben conosciamo. Sino ad allora non esisteva un testo unico che regolasse la disciplina, bensì, sussistevano varie disposizioni sparse qua e là che regolavano alla meno peggio il fenomeno. Una decisione, questa di riunione ed elaborazione di una norma di legge, che ha diviso. Perché se da un lato lo Stato ha colpito dall’interno le stesse associazioni terroristiche e mafiose, dall’altro ha mosso le anime e il dolore di chi quelle stragi le aveva subite in un urlo silenzioso che non faceva altro che chiedere giustizia. La maestria dell’autore è anche questa: riuscire a far rivivere a chi legge il clima di quegli anni, farlo riflettere sul che cosa significava vivere con il terrorismo, con il che cosa significava vivere in un periodo storico incerto e dove regnava la paura dei malavitosi, delle persone comuni. Perché alla fine, sono davvero cose più grandi di noi e di cui adesso come allora è difficile parlare, è difficile raccontare, è difficile spiegare.
Tante le tematiche trattate in questo volume di appena 198 pagine che oltre che agli anni di piombo toccano aspetti quali i rapporti familiari, la crescita personale, il difficile passo che dall’adolescenza porta all’età adulta.
Un libro di quelli che si fanno divorare, che emoziona, che restano dentro e che non si dimenticano.
Di seguito le parole in nota di Giorgio Scianna:
«Avevo l’età di Marghe quando frequentavo il primo anno di giurisprudenza, e la legge sui pentiti era stata approva in Parlamento. Una mattina il docente di storia del diritto romano aveva interrotto la lezione e si era messo a urlare, tanta era la sua indignazione su quello che stava accadendo nel processo contro la brigata XXVIII marzo. […] In quella stessa università un altro docente non solo aveva condiviso il disegno normativo sugli sconti di pena per dissociati e pentiti, ma quella legge l’aveva proprio scritta. Insomma, i pentiti erano un male necessario, uomini coraggiosi oppure traditori infami a seconda di come si leggesse il loro contributo e la loro scelta. Non mi ricordo cosa pensassi io allora, credo che non riuscissi a capire come professori che dovevano darmi certezze sul diritto potessero avere idee così diverse sul significato della parola “giustizia”.
A distanza di tanti anni non so ancora come raccontare quella storia ai miei figli, credo davvero fossero cose più grandi di noi. Eppure c’è chi allora ha scelto. Ha scelto lo Stato, approvando una legge che metteva in libertà criminali responsabili di delitti orrendi, ma dando così una botta micidiale alle organizzazioni terroristiche. Hanno scelto i pentiti voltando le spalle ai loro compagni di lotta, ma salvando vite che potevano essere ancora calpestate. È una pagina che non può essere dimenticata. Se oggi siamo così – noi, i nostri figli e la giustizia di questo strano Paese – credo che, nel bene e nel male, lo dobbiamo a quegli anni e alle scelte terribili che qualcuno ha fatto.»
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