Dettagli Recensione
Ida
«Così nell’insonnia che non finiva più, tra il mio sudore, il respiro regolare di Pietro e la paura di un naufragio attendevo l’alba che non voleva saperne di arrivare. Ma tutto arriva, prima o poi, a distruggere le persone che siamo state o crediamo di essere: alla prima luce del sole mi alzai in silenzio, lo baciai sulle labbra e me ne andai in stazione lasciandolo nel sonno» p. 11
Ida Laquidara, la donna sulla nave che va via dall’isola, via dalla casa con il tetto che crolla, via dalla madre e dall’assenza del padre, via dalla disperazione e dalla morte di un ragazzo di vent’anni, non è la stessa Ida Laquidara, sposata con Pietro, che in quella metà di settembre è partita da Roma per tornare sull’isola, alla casa natia, per tonare da quei fantasmi che mai l’hanno abbandonata sorprendendola e colpendola nei momenti più inaspettati in un perpetrare ininterrotto di flusso temporale. Perché tutto ha avuto inizio con la scomparsa del padre, un uomo che non ha lasciato la propria moglie e la propria figlia a causa di una morte prematura bensì un uomo che semplicemente è sparito nel nulla, se ne è andato a causa di una patologia, la depressione, più grande di lui. Che sia stata colpa mia? Avrei potuto fare di più? Che non abbia saputo sorvegliarlo e dedicargli le cure e le attenzioni necessarie? Queste sono soltanto alcune delle domande che accompagnano la protagonista sin dall’adolescenza. Perché Ida era la custode, in assenza e presenza della madre, di quel genitore addolorato che aveva lasciato il lavoro e che, per non sentire il rumore della sua infelicità, leggeva. Una voragine incolmabile quella dell’eroina che all’inizio dell’opera è chiamata dalla madre a far ritorno in quella casa fatta di ricordi, assenze, silenzi. Ed è proprio da qui che ha inizio il cambiamento perché circostanze e situazioni eterogenee la porteranno a confrontarsi con un dolore diverso, un dolore che non le appartiene, che è di altri e a maturare ed elaborare anche il proprio in un modo completamente nuovo.
«Lo conoscevo, quel sacco. Il sacco dentro cui era stato tagliato a pezzi il corpo di una donna o di un manichino, in uno dei miei ultimi incubi. Il sacco di plastica intorno al collo che ogni giorno avrebbe potuto strangolarmi, richiudersi su di me togliendomi l’aria, quello pieno di oggetti vecchi che avevo appena buttato. […] La mia testa avrebbe bisogno di riposare, ma non si può perché oggi il dolore della gente ha preso il posto del mio, e se al mio sono abituata, questo qui invece non so in che modo trattarlo, per prima cosa vorrei chiedergli se c’è sempre stato oppure ha deciso di visitarmi tutto in una volta solo adesso. [...] Dormire non si può, perché le scene si sono inanellate e ora mi tocca tacere e osservare quella catena di montaggio…» pp. 174-178
Sarà un percorso di rinascita affettiva, umana, personale e collettiva che ripartirà da quelle lancette che si sono fermate sulle sei e sedici di quel giorno in cui quella porta si è chiusa inesorabilmente dietro le spalle del babbo e che la porteranno a riprendere in mano la sua vita e a costruirla. Il tutto tra profumo di ricordi, incertezze, paure, fragilità, sofferenza, rinnovata compassione, crescita, maturità. Per ritrovarsi, per conoscersi davvero.
«Tutti desideriamo qualcuno che ci ha lasciato, vorremmo con lui prendere un’ultima volta un bicchiere di vino fra i tavoli di un vicolo, fargli ancora le domande che gli abbiamo già fatto, abbandonarci al tepore, agli abbracci, a un profumo perduto, ispido e familiare, così come ci appare in sogno perché non potrebbe accadere nella realtà? Una volta, una soltanto.» p. 179
«Allora parlavo e mi agitavo, desiderosa di sembrare qualcuno, mentre in questa nuova traversata non faccio nulla: osservo, e gli estranei mi appaiono per quello che sono, che siamo, un gruppo di sopravvissuti ciascuno alla propria battaglia. Vedo una schiera di uomini e donne e bambini monchi di famigliari, amici, amanti; vedo folle di persone che hanno attraversato la morte e ne sono uscite ammaccate, disturbate, mai uguali. Veniamo tutti da un funerale, non solo io che ci sono stata per davvero; tutti abbiamo perso qualcuno e sappiamo quanto lunghissimo e ingiusto sia il tempo davanti a noi, il tempo senza quella persona. Il tempo che cominceremo a contare anno dopo anno, a partire dalla perdita.» p. 195