Dettagli Recensione
Un romanzo annacquato
** spoiler alert **
Il secondo volume di una saga letteraria è spesso una lettura “difficile”: se il primo libro è stato molto apprezzato, ci si aspetta che il seguito sia pienamente all’altezza e basta una piccola imperfezione a far storcere un po’ il naso; se invece il primo volume ha lasciato insoddisfatti, ci si augura che il secondo riesca a essere migliore, soprattutto nel caso di una saga tanto famosa e celebrata. Purtroppo il secondo libro della saga L’amica geniale non rientra in nessuna di queste due categorie.
Storia del nuovo cognome riparte dal punto esatto in cui termina il primo volume, l’arrivo inaspettato dei fratelli Solara al matrimonio di Lila, e non soltanto ne eredita i problemi, ma alcuni di essi addirittura peggiorano, a cominciare dall’incipit, caratterizzato da una fortissima continuità con la conclusione del romanzo precedente. Continuità che però si rivela un’arma a doppio taglio: se da un lato facilita la ripresa della lettura, perché bisogna aspettare solo due o tre pagine introduttive per scoprire cosa succede dopo l’arrivo a sorpresa dei Solara, dall’altro accresce notevolmente l’impressione, già piuttosto forte durante la lettura del primo libro, che la storia sia un blocco unico volutamente frammentato (o meglio, bruscamente troncato) in più parti allo scopo di tirarne fuori più volumi possibile. E il proseguo della lettura conferma questa sensazione con forza maggiore rispetto a L’amica geniale: se nel primo romanzo gli eventi sono generalmente piuttosto condensati e sono poche le fasi in cui la trama si trascina, in Storia del nuovo cognome la tendenza a dilatare gli eventi senza nessun motivo apparente se non quello di riempire le pagine è portata all’estremo e tocca il culmine nella parte centrale del romanzo, la vacanza a Ischia, che si protrae per 123 pagine che però sembrano il doppio per la minuziosa quanto inutile descrizione di ogni singola passeggiata sulla spiaggia, ogni singolo bagno, ogni singolo pranzo, ogni singola chiacchierata al chiaro di luna. Il risultato è la noia, intervallata da brevi guizzi di interesse quando si approssima una svolta decisiva o apparentemente tale, perché potrebbe sempre intervenire l’ennesima gita ai Maronti a far ripiombare tutto nel nulla assoluto.
Le parti più vivaci e interessanti del romanzo sono quella iniziale e quella finale, nelle quali gli eventi sono narrati in modo più rapido e incalzante. Tra esse, il resoconto dell’estate a Ischia si estende come una massa informe e intollerabile di fatti per lo più completamente inutili. È chiaro che i libri di questa saga hanno un problema ben preciso: incipit ed explicit sono incalzanti e interessanti, ma per pubblicare ben quattro romanzi serve un riempitivo, nel mezzo, e così si allunga il brodo fino ad annacquare anche fatti potenzialmente interessanti. È un vero peccato, perché se fosse stato tutto un po’ più condensato, la lettura sarebbe stata più piacevole.
Il rapporto tra Elena e Lila, inoltre, resta più o meno invariato, ovvero snervante, assurdo e avvilente per la maggior parte del tempo. Elena è invidiosa di Lila, si sente inadeguata e tenta di imitarla o mostrarsi superiore, del tutto incurante del fatto che la sua amica ha sposato un bruto che le rovina l’esistenza, mentre a lei si aprono le porte di un futuro migliore grazie alla conclusione degli studi: tutto ciò non conta nulla per Elena, ha importanza solo che Lila abbia già rapporti sessuali e lei no, non essendo ancora sposata.
Lila, dal canto suo, si compiace di mettere Elena in difficoltà ogni volta che può e inanellare una scelta cretina dietro l’altra: non contenta di aver sposato un ragazzo solo per dare fastidio a un altro, senza capire in tempo che Stefano la stava solo ingannando e sfruttando (alla faccia della genialità), non pensa minimamente di sfruttare la sua (presunta) intelligenza per trovare il modo di tirarsi fuori dai guai e anzi intraprende una relazione con un personaggio maschile che è solo poco meno squallido di Stefano Carracci, si abbandona a una specie di delirio sentimentale dai toni alquanto ridicoli e toglie definitivamente il sonno alla povera Elena, che si vede soffiare sotto il naso dalla sua (presunta) migliore amica il ragazzo che ama.
Al di là del risvolto da fuielletton, che forse si poteva anche evitare (insieme alle decine e decine di pagine sui tormenti interiori di Elena), l’impressione generale è che questo romanzo offra una rappresentazione piuttosto negativa del genere femminile. Nel rione non c’è una donna o una ragazza che faccia una scelta davvero positiva e intelligente per se stessa e il proprio futuro. Lila è brillante in tutto ciò che fa, ma perché invece di perdere tempo decorando il negozio di Piazza dei Martiri non continua gli studi e non prende un diploma? La sua ostentata noncuranza verso questo aspetto è forse uno degli elementi più irritanti del libro. Quando si innamora di Nino Sarratore afferma di voler ricominciare a leggere e a studiare solo per essere alla sua altezza e aiutarlo: tutto qui? Un’affermazione che fa venire voglia di lanciare il libro contro il muro. Elena si impegna nello studio, si diploma, si laurea, ma sempre spinta dalla competizione con Lila e c’è una tale meccanicità in tutto ciò che fa, una tale mancanza di passione, da togliere ogni gusto ad assistere ai suoi successi scolastici.
Elena, Lila e gli altri personaggi femminili si muovono quasi esclusivamente tra pettegolezzi, ingiurie, rivalità, cattiverie, affannosi tentativi di primeggiare agli occhi degli uomini e più sono maltrattate, più li inseguono e li desiderano. La stessa Lila, dopo aver ostentato tanto disprezzo per Marcello e la sua determinazione a sottrarsi ai capricci e ai desideri maschili, finisce in una situazione peggiore di quella di partenza proprio grazie ai capricci e ai desideri di un altro scemo di passaggio, che lei ed Elena si contendono disperatamente come se fosse la mente più brillante dell’universo e non uno pseudo intellettuale con il fascino di uno spaventapasseri. Per non parlare dei momenti in cui Elena, pur sapendo benissimo che Stefano picchia e stupra Lila regolarmente, pensa che in fondo la sua amica renda le cose con il marito troppo complicate. E i battibecchi senza fine tra Pinuccia, Lila e Gigliola per conquistare il comando del negozio di Piazza dei Martiri?
Il risultato è un’immagine degradata e degradante del genere femminile che culmina nella scena disgustosa del rapporto sessuale tra Elena e Donato Sarratore. Tralasciando l’assurdità di fare sesso con il padre di Nino solo perché negli stessi momenti Lila lo sta facendo con lo stesso Nino, sancendo il punto più basso del comportamento patologico che la spinge a imitare l’amica in tutto, è sconvolgente che Elena scelga di avere il suo primo rapporto con un uomo che poco tempo prima ha abusato di lei e che anche a distanza di anni non trovi nulla da biasimare nella propria condotta e avverta solo un po’ di disgusto. L’impressione a dir poco aberrante che ne deriva è che una donna, per quanto giovane e inesperta, può “accettare” una violenza subita al punto da cercare il suo violentatore in un secondo momento per un rapporto più o meno consenziente e finalizzato allo scopo ridicolo di competere con la propria amica. È vero che la vicenda si svolge tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta e che all’epoca la sensibilità verso questi argomenti non era paragonabile a quella odierna, quindi non si può pretendere che Elena, cresciuta in un ambiente violento, ignorante e maschilista sia pienamente consapevole di cosa sia un abuso sessuale. È comprensibile, di conseguenza, che in L’amica geniale non denunci Donato. Dopo quel primo contatto, però, Elena avverte con chiarezza una sensazione di malessere, quindi sente che c’è qualcosa di sbagliato, anche se non è in grado di definirlo né di difendersi. Dunque non è giustificabile in alcun modo la scelta di fare sesso con Donato, proprio lui, il padre del ragazzo che dice di amare, per uno scopo ridicolo e disgustoso.
Ancora una volta la Ferrante racconta comportamenti assurdi o sbagliati, ma i personaggi non ne sono minimamente consapevoli e neppure lo diventano più avanti, crescendo e maturando. Alla fine del romanzo Elena è ormai adulta, ma continua a non rendersi conto della gravità di ciò che ha fatto. Il rischio è che anche ai lettori (o quanto meno ad alcuni di essi) tali comportamenti passino inosservati. Non a caso, forse, la quasi totalità delle recensioni celebra la straordinaria amicizia tra Lila ed Elena, amicizia che in realtà è un rapporto problematico, malato e alquanto negativo per entrambe, e il femminismo di questi personaggi, anche se Elena va a letto con il suo molestatore e Lila, invece di riprendere gli studi per se stessa e il proprio futuro, dichiara di volerlo fare per quel bamboccio di Nino. Nessuna recensione, inoltre, sembra citare la scena tra Elena e Donato, come se fosse una cosa da poco. Certo, non ha senso rappresentare personaggi perfetti che fanno sempre e solo la cosa giusta, perché non sarebbe realistico. Sbagliare è umano ed è normale che Elena e Lila commettano errori, talvolta anche molto gravi. Il problema è che nella narrazione questi errori passano completamente inosservati e spetta al senso critico del lettore riuscire a coglierli. Ma allora dov’è il femminismo tanto decantato di questa serie, se dalle pagine non emergono altro che comportamenti stupidi e scelte disastrose?
In Storia del nuovo cognome, dunque, ci sono diversi aspetti problematici e non sono pochi né facilmente trascurabili, eppure c’è sempre una molla che spinge a proseguire la lettura nonostante tutto per scoprire cosa succederà a questi personaggi, complessi e ben strutturati anche quando si fanno detestare. A eccezione della parte ischitana, che è da suicidio, la narrazione fluisce con facilità. La scrittura della Ferrante dà il meglio di sé quando non è eccessivamente e inutilmente analitica. Quando invece si impantana in un ritmo a rallentatore o nelle elucubrazioni infinite su Lila da parte di Elena, inevitabilmente perde molto.
Una menzione speciale va a colui che senza ombra di dubbio è il personaggio migliore della saga fino ad ora: Enzo Scanno, che con la sua forza pacata, l’intelligenza (quella vera, però, l’intelligenza che realizza qualcosa e non si limita a celebrare se stessa), l’intraprendenza, il coraggio, fa pensare a una solida roccia in mezzo al mare in tempesta e che da solo vale tutti gli altri personaggi messi insieme. Purtroppo anche Enzo sembra passare inosservato, mentre tutti celebrano sempre e soltanto le due protagoniste, ed è l’ennesima dimostrazione del fatto che forse l’attenzione dei lettori è stata attirata sugli elementi sbagliati per i motivi sbagliati.
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