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Labirinti dove per uscire dobbiamo mollare il filo
Il filo di Arianna unisce un’Arianna contemporanea all’Arianna della mitologia: entrambe abbandonate a Naxos, entrambe destinate a un nuovo amore.
L’Arianna de L’isola dell’abbandono di Chiara Gamberale è un’illustratrice vittima della sua fantasia drammatica e della sindrome dell’abbandono. Ha creato l’elefantino Naso, un pelouche che ogni volta viene smarrito, ma ogni volta torna sempre dalla sua bambina (“Talmente paralizzata all’idea di venire abbandonata da scegliere un amico capace di fare solo quello: abbandonarla”) e il coniglio Pilù (“Una specie di coniglio bipolare”), così simile al narcisista e distruttivo Stefano, individuo egocentrico, bizzoso e drogato che riesce a farsi odiare dal lettore con tutte le forze.
Ma non risulta neppure simpatica l’Arianna contemporanea, che passa da Stefano, al surfista Dì, al terapeuta Damiano e si affaccia pericolosamente alla maternità del povero Emanuele (“Abbiamo paura di non essere amati. E allora ci rifugiamo nel nostro trauma, nella nostra ossessione”).
L’empatia del lettore si concentra allora sull’Arianna della mitologia… che sa accontentarsi di Dioniso, dopo essere stata “piantata in Naxos” da Teseo.
Nella mitologia e nell’immagine del labirinto (“Ci sono labirinti dove, per uscire, dobbiamo mollare il filo che avevamo in mano, invece di tenerlo stretto”) vi sono proprio i migliori spunti del romanzo che miete questo giudizio finale:
mitologico, labirintico, grecale.
Bruno Elpis
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