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Una donna di nome Maria
Nadia Fusini scrive Maria, un libro che lascia a bocca aperta, stupefatti. Una scrittura asciutta, scarna, che tuttavia colpisce al cuore e nell’anima. Una:
“novella intensa ed implacabile, che racconta come tra bene e male esistano stagioni sospese, sfumature che solo alcuni accettano di vedere.”
Maria è una donna. Tante donne. Una, nessuna, centomila. E’ una donna ferita, usata, abusata, annullata. In lei tutto urla disperazione e sopraffazione. Ma lo fa in religioso silenzio. Un silenzio che colpisce e stupisce chi ascolta. A cominciare dalla sua voce:
“La voce di Maria suonava monotona, insistente. Ma non querula. Quello che sentivo era piuttosto il tono implacabile di chi non si perdona. E cerca la verità, non si discolpa. E’ diverso, ho notato, quando chi parla non pronuncia parole vive, ma ripete frasi che ha già concepito e stacca da sé come fossero squame.”
Per lei è giunto il momento della confessione. Ma quale? E di cosa?
“In realtà ci stava raccontando la storia della sua vita. (…) Maria, che s’era evidentemente persa nella massa confusa di ricordi e sensazioni che l’opprimevano, si riprese, frugò nella memoria. E tornò a quella notte.”
Già, quella notte. Quella notte in cui Maria assiste, impotente, ad un omicidio, compiuto dal marito, quell’uomo che lei ha amato sopra ogni cosa, più di se stessa.
Il racconto di una figura di una donna che ammalia e conquista. Una donna destinata a rimanere impressa nella mente di ogni lettore. Un racconto dove si respira violenza, in cui:
“avrei conosciuto presto alla perfezione lo strazio dell’anima che s’aggira stordita in vicoli ciechi, infernali.”
Un testo psicologico, intimo ed intimistico, scritto con una perfezione profonda ed assoluta. Un libro per imparare la cultura del rispetto, dove la violenza cieca e bruta non conduce a nulla se non all’annientamento di se stesso e degli altri. Una lettura colta e profonda.