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prigionia e libertà
Nisida è un carcere minorile, un lembo di terra in mezzo al mare che a destra finisce nel Vesuvio ed a sinistra dentro l’ acciaieria, è la fine di una vita, l’ inizio di altro, sta semplicemente li’ fuori, attraccata.
In quel luogo .. “ noi ” andiamo e veniamo, “ loro “ vanno e vengono...
Elisabetta Maiorano ha cinquant’ anni, è una supplente che ha percorso l’ Italia, una vedova che continua a vivere il proprio dolore, Almarina una giovane detenuta rumena priva di qualsiasi ricordo ma con la luce del futuro negli occhi.
In un luogo che sottrae libertà si può essere ancora se’ stessi se prevale la forza di un amore, se sei accettato, se il passato ha smesso di tormentarti, se c’è un presente diverso ed un futuro racchiuso nella speranza.
Quando si entra in carcere si respirano paura e solitudine e la fine di un mondo fanciullesco che questi ragazzi non hanno mai avuto.
Elisabetta è entrata a Nisida in punta di piedi, senza un’ idea precisa, inseguita per tre lunghi anni dal fantasma del marito Antonio. In lei paura e pregiudizio, distinguendo un dentro ed un fuori, avvolta da sguardi di indifferenza, diffidenza, fino all’incontro con Almarina, per caso, guardando il mare. Nel suo volto la promessa del futuro, una vita al di fuori di quella, nonostante le porte di un carcere stronchino sogni e desideri ed inducano le persone a non fidarsi.
Elisabetta parla di se’, di come si faccia forza per non crepare ed entri ed esca da quella prigione per ritrovarsi all’ esterno in un mondo altrettanto aberrante.
Li’ ha inizio il cambiamento, impossibile da rilevare se non quando si sta compiendo e ti scorre dentro con un nuovo senso confidenziale, i ricordi altrui divenuti propri, un se’, una lei, un noi.
Ed allora, un giorno il fantasma di Antonio comincerà a defilarsi, ad entrare in una zona più profonda di lei ed Elisabetta si sentirà sola ma non abbandonata, avvolta da una dolcezza significante.
In quel giorno nessun confine, ne’ un carcere, Nisida sarà scomparsa e non resterà che andare incontro al futuro.
Un romanzo breve, intimo, poetico, che vive di forti emozioni interiorizzate, in cui i fatti esprimono i sentimenti ed i sentimenti fuoriescono dalla durezza dei fatti. Tra le pagine una acuta e struggente analisi di se’, degli altri, di tutte quelle forze che costruiscono un amore e la forza resiliente di speranza e desiderio.
Per contro si denuncia un mondo esterno abulico e violento, l’ inevitabile carcere per vite da sempre private di speranza, un senso di impotenza e dolorosa presenza, l’ insostenibile ed insopportabile burocrazia che sfinisce e depone qualsiasi atto di amore, si critica ogni pregiudizio con la consapevolezza di un senso di uguaglianza fallace.
C’è chi, tra le pagine, riconoscerà un intimismo all’ eccesso, una trama non proprio godibile e funzionale, periodi esponenzialmente tronchi, di certo l’ autrice possiede ed esprime un se’ definente manifestatosi in una attenta e centellinata ricerca e cura del senso delle parole che divengono altro, tracce di pura poesia, espressione primaria del respiro narrante.