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Le otto montagne
 
Le otto montagne 2019-04-02 19:11:22 Lyda
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Lyda Opinione inserita da Lyda    02 Aprile, 2019
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La vita, tutta in un viottolo di montagna.

Dice l'autore che quando scriveva questo libro e la gente gli chiedeva di cosa parlasse, la risposta era sempre “Di due amici e una montagna”
Certo, è vero, c'è la montagna e c'è l'amicizia tra due bambini che travalica i decenni. Cognetti però pecca di troppa umiltà, sintesi o umorismo perché dietro a queste righe c'è molto, molto di più. Esempio, un padre audace, impulsivo, irrequieto e forse un po' ingombrante. Ma sempre un padre che, senza troppo parlare, insegna al figlio che la montagna in pratica è la vita, bellissima e da affrontare senza timori o titubanze. Insomma, gli insegna ad aver fiducia nelle proprie forze, la migliore catechesi che un genitore può offrire.
“Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi...”
E' questo l'incipit del romanzo. Non che sia trascendentale, di quelli da memoria, ma definisce bene il passo di una bella storia, di sicura impronta autobiografica.
E poi c'è la madre, affatto solitaria come il marito. Una che, come generalmente le donne, attutisce i colpi e viene incontro, ama senza riserve e si prende cura dei suoi cari con mille attenzioni e molta pazienza. E' un personaggio importante nella prima parte (di un certo sapore sono i racconti dei mesi estivi che il protagonista-bambino trascorre alla baita sopra il paese di Grana, da solo con lei) ma che in seguito sfuma sino a divenire un satellite nella successiva narrazione, al contrario della figura paterna che resta impregnata come sudore in ogni riga scritta, in ogni scalata e in ogni vetta, pure al di fuori di quelle del comprensorio alpino. Da grande Pietro inizierà a viaggiare in Oriente e a scalare montagne ben più alte (Nepal, Himalaya) sebbene il gruppo del Monte Rosa con l'alpeggio e il montanaro Bruno, suo grande amico d'infanzia, rimarranno i perni principali di un'esistenza solitaria e un po' scontrosa, a cui tornare ad ogni occasione buona.
Il romanzo percorre trent'anni di vita offrendo numerosi spunti di riflessione soprattutto nell'ambito dei rapporti interpersonali. C'è un punto in cui Pietro, ripensando al padre ormai morto, spiega che quest'ultimo quando aveva gli scarponi ai piedi e lo zaino in spalla, davanti ai canaloni zeppi di neve tardiva, “Diceva così: che l'estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d'inverno che non vuole essere dimenticato.”
E ancora, riguardo a un'altra esperienza di fatica sul viottolo tra rupi e creste, “Un uomo con due baffi bianchi mi raccontò che per lui era un modo di ripensare alla sua vita. Era come se, attaccando lo stesso vecchio sentiero una volta all'anno, si addentrasse tra i ricordi e risalisse il corso della propria memoria.”
Qua, a mio parere, ognuno avrà uno spunto per dare, o almeno tentare di dare le proprie personali risposte a domande cardine dell'esistenza, considerando il sentiero che sale sù, pieno di curve, pericoli e panorami mozzafiato, una lettura di indubbia chiave metaforica. Ed è certo, la prossima volta che faticherò su qualche cima 'delle mie' (non ho la pretesa dei 3000 ma, insomma, se la cavano anche le 'mie' creste marmoree preferite) ripenserò con piacere ad un altro indottrinamento che ho appreso da questo libro, “Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, allora il passato è l'acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso, dove non c'è più niente per te. Mentre il futuro è l'acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro è a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.”
Buona lettura.

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