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Ritorno a un paese scomparso
Chi mi conosce, sa che come lettore sono un esterofilo di quelli veramente patologici. Durante i primi anni della mia carriera di lettore sono davvero pochi gli autori italiani che mi sono ritrovato a leggere: sarà per le esperienze scolastiche traumatiche (tra cui “I promessi sposi” e il galeottissimo “Il fu Mattia Pascal”), ma fino a poco tempo avevo davvero di che vergognarmi quando un convinto “nazionalista” si faceva avanti e mi poneva la fatidica domanda: “e di autori italiani? chi hai letto?”
Ansia, panico.
Beh, devo dire che negli ultimi tempi mi sto rimettendo in riga e pur rimanendo un esterofilo convinto sto scoprendo autori di assoluto valore: Calvino, Sciascia… e conto di aggiungere altri alla lista. Si può dire che Pavese possa rientrare tra questi? Nì; almeno per quanto mi riguarda.
“La luna e i falò” è una storia che ha al centro il ritorno di un uomo, chiamato Anguilla, nel suo paese natale; un uomo che in questo paese non era altro che un servitore e un lavoratore per una famiglia più facoltosa, che possiede questa proprietà chiamata Mora. Dopo la sua esperienza “oltre Canelli”, fino in America, l’uomo si aspetta di tornare in paese quasi come un eroe; invece trova un paese che a stento si ricorda di lui e che all’apparenza ha conservato tutte le sue caratteristiche, variando solo gli interpreti: quello che lui era anni prima, adesso lo è il giovane Cinto; quello che era il sor Matteo ora è il Valino… o almeno così sembra all’apparenza. Nel frattempo è venuta la guerra a cambiare tutto, sotto la superficie.
Lo stile dell’autore in certi tratti è magnetico, ti cattura e la lettura scorre che è un piacere; in certi altri si fatica un po’ ad andare avanti. Devo dire che in certi tratti il procedere degli eventi suscita curiosità, e accadranno alcune cose (una in particolare) che lasceranno il lettore spiazzato: un crudo colpo di scena che davvero non mi aspettavo e che ha ravvivato moltissimo il mio interesse. Tuttavia, non c’è un grande approfondimento della psicologia dei personaggi: quello che più di tutto viene messo in risalto è il contesto del paese, la differenza che passa tra le classi sociali e come la guerra ha influito e si è insinuata in questo ambiente, lasciandovi un segno indelebile. Quello che più colpisce, durante i numerosi flashback che vedono il protagonista lavorare nella Mora, è la netta divisione che vi è tra i lavoratori e i proprietari terrieri: il nostro Anguilla non penserebbe neanche lontanamente a una storia romantica con una delle figlie del suo padrone; nemmeno l’amore potrebbe distruggere una simile barriera, nonostante gli spasimanti di quelle giovani donne siano perlopiù degli imbecilli e dei poco di buono. Il distacco è netto, si avverte distintamente; solo in pochi e brevi attimi si sente uno scricchiolio, ma non sarà altro che una breve illusione. Quella linea non la si può varcare, e a nulla conta il fatto che “il sangue è rosso dappertutto”.
L’autore descrive questo contesto con vera maestria, eppure non posso dire che mi sia trovato davanti a una lettura indimenticabile.
Pavese: rimandato.
“E Nuto a dirmi: - Cosa credi? la luna c’è per tutti, così le piogge, così le malattie. Hanno un bel vivere in un buco o in un palazzo, il sangue è rosso dappertutto.”
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Commenti
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Su Pavese, l'ho letto e spesso riletto. Ma io sono piemontese, per cui i paesaggi descritti nei suoi romanzi mi sono piuttosto familiari.
Questo libro è forse la sua opera più famosa, ma non la considero la più bella.
sono contento che tu l'abbia apprezzata, anche se il libro non mi ha fatto lo stesso effetto che ha fatto a te! :)
Vale.
ci sono sicuramente delle riflessioni e dei passi interessanti (tra cui quello che citi tu), ma non cose che si siano segnate indelebilmente dentro di me. C'è poco da fare, ogni lettore è diverso e sfido chiunque a trovarne due che si portino dentro il cuore gli stessi, identici titoli. Ma è anche questo il bello della letteratura, no?
Vale.
di Buzzati ho letto "Il deserto dei tartari", e ricordo che mi era anche piaciuto abbastanza. Per quanto riguarda Tabucchi sono graditi consigli, essendo un autore che finora non ho mai incrociato. Della Deledda prima o poi leggerò "Canne al vento", mentre della Morante proprio ultimamente ho comprato "L'isola di Arturo", che spero di leggere quanto prima. :)
Vale.
innanzitutto grazie per il consiglio, che mi segno. Ho notato anch'io che gli autori che hanno scritto nei decenni del secondo dopoguerra sono quelli che mi sono ritrovato ad apprezzare di più; ad esempio ho amato "I sentieri dei nidi di ragno" di Calvino.
Riguardo a Pavese, qual è secondo te la sua opera più bella? Mi hai incuriosito!
Vale.
il Pavese lirico è sicuramente da approfondire per quanto mi riguarda, anche se indipendentemente dall'autore sono un amante appassionato della prosa! :)
Vale.
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