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Quel fatale dettaglio forse non così irrinunciabil
«Ha ragione il ragazzino. A tutti capita un giorno di partire dal quale niente sarà più come prima. Per alcuni è un giorno felice, memorabile: nasce finalmente una bambina dopo tanti figli maschi; oppure ricevono un’eredità inattesa che sapranno far fruttare; può persino capitare che escano dal coma e all’improvviso parlino inglese meglio dello sperduto dialetto cinese con cui sono cresciuti. Sono cose possibili, si leggono sui giornali. Ma la maggior parte degli esseri viventi quella giornata fatidica vorrebbe ridisegnarla, dimenticarla, cancellarla, perché vi accade un incidente irreversibile, che innesca una catena di vicende sciagurate. Come sostiene il ragazzino saggio, a quel punto conviene non nascondere niente, e anzi allenarsi a servire la propria catastrofe su un piatto d’argento, per farne un punto di forza.»
Doveva semplicemente essere una serata perfetta quella di quel 13 febbraio in una Milano piovigginosa e sul finire della giornata. Quel dettaglio, quel sale rosa dell’Himalaya non poteva mancare, era quel particolare che avrebbe reso la cena con quell’importante uomo eccelsa, che l’avrebbe resa indimenticabile. Cinquanta minuti di tempo per procurarselo e per tornare a casa per l’incontro con quello che sperava poter essere il primo cliente della sua futura agenzia, un progetto che coltivava da tanto e che l’avrebbe resa finalmente una imprenditrice di successo autonoma. Nessun taxi disponibile, rinunciare o prendere la metropolitana? Tacco alto, vestitino e borsetta abbinati, ombrello, telefonino all’orecchio e capelli biondi perfettamente piastrati sono la mise con cui Giada decide di uscire, non ha tempo per cambiarsi e non può astenersi da quella perfezione che tanto ricerca. Una chiamata di Filippo, un uomo che le si avvicina per chiederle una sigaretta quando lei non fuma, il mondo che finisce, l’inizio dell’inferno con due carcerieri, Yon e Dimitru, di una prigionia durata 31 giorni fatta di violenze fisiche e morali, violenze sessuali, desiderio di fuggire o esser salvata o in alternativa di morire pur di porre fine al supplizio, di fame e stenti. Talmente tanta è la sete della giovane protagonista, quasi trentenne, che non esita a lappare l’acqua di una pozza putrida riscoperta in quella galera, sita nella periferia più estrema della metropoli milanese, dove resiste tra i suoi stessi reflui corporei, abiti strappati e una magrezza scheletrica. Quanto tempo ci vorrà affinché qualcuno si renda conto della sua scomparsa? Perché alcuno si fa vivo? Cosa aspettano i soccorsi? Come immaginarsi che tra le conseguenze intrinseche dell’esser prigioniero vi sarebbe stata anche la noia?
È un progetto ambizioso quello di Camilla Baresani che cerca di ricostruire nella veste di un’inchiesta un fatto soventemente oggetto di cronaca. La prima a ripercorrere le vicende è la stessa Giada che si interroga e rivive le vessazioni con coraggio e con la determinazione e la volontà di non rispondere all’odio con altro odio, alla violenza con altra violenza. E se da un lato il lettore riscopre dai suoi pensieri e dalle sue riflessioni quel che sta subendo, al contempo allo stesso viene sbattuto quel che accade esteriormente alla dimensione del sequestro: l’indifferenza. Passano giorni prima che qualcuno si renda conto della sua scomparsa, passano giorni prima che gli impegni non siano così improrogabili da rendere atipica la sua assenza dal lavoro, passano giorni prima che vicini di casa e portieri si accorgano di quell’assenza nell’interno 12, passano giorni prima che i familiari stessi decidano di far partire le ricerche con i loro usi e costumi da “provinciali”. Al tutto si sommano maldicenze, critiche sfrenate, malelingue che non perdono l’occasione per screditare la malcapitata.
Non serve molto a Giada per capire che la sua vita fino al rapimento è stata fatta di apparenze e futilità, è stata un’esistenza composta da falsi valori e errate priorità a cui si avvicendavano persone inutili, inconsistenti, che ricercavano in lei un’amicizia di convenienza. Elementi a cui si somma ulteriormente la consapevolezza che quegli amici, quei colleghi, quegli stessi familiari che di fronte ai mass media si dimostravano angosciati, in ansia, preoccupati, erano in verità infastiditi dal doversi mettere a nudo, dal dover rivelare aspetti di vita privata che avrebbero preferito celare, o ancora di dover rallentare i rispettivi ritmi, o ancora di dover rinunciare ad impegni e progetti per consentire agli inquirenti di procedere nella risoluzione della scomparsa.
Sono proprio questa falsità e questa vacuità mixate all’indifferenza e all’apatia del mondo moderno e a una impostazione narrativa intelligente, a costituire i punti di forse di questo romanzo caratterizzato da una storia dura e attuale.
Buona la caratterizzazione dei luoghi e dei personaggi (in particolare di Giada che matura riuscendo a compiere i primi passi per un nuovo avvenire privo di collera e ira) nonché la fluidità della penna dell’autrice che riporta, ricompone senza cadere in prolissità.