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TROPPO SALE FA MALE
Milano 13 febbraio, ore 19:36…Giada Carrara, trent’anni, capelli lunghi, lisci e biondi, un filo di trucco leggero, addosso il profumo fresco di una crema per il corpo al bergamotto e abito da sera, nonché le sue décolleté con tacco alto…e’ tutto pronto per la sera che le cambierà la vita… la cena comprata alla migliore gastronomia di Milano…la casa è perfetta, Giada è perfetta, è “quasi” tutto perfetto …manca un solo piccolo particolare che nell’immediato diviene indispensabile, il famoso sale rosa dell’himalaya che darà un sapore esotico a quel cibo servito su eleganti piatti di porcellana bianca, quel tocco in più che con il senno di poi doveva essere evitato …” A tutti capita un giorno a partire dal quale niente sarà più come prima. Per alcuni è un giorno felice, memorabile: nasce una bambina dopo tanti figli maschi; oppure ricevono un’eredità inattesa che sapranno far fruttare; può persino capitare che escano dal coma e parlino inglese meglio dello sperduto dialetto cinese con cui sono cresciuti. Sono cose possibili, si leggono nei giornali. Ma la maggior parte degli esseri viventi quella giornata fatidica vorrebbe ridisegnarla, dimenticarla, cancellarla perché vi accade un incidente irreversibile, che innesca una catena di vicende sciagurate”…per Giada il punto di non ritorno è proprio quella sera del 13 febbraio, quando esce, tra la pioggia, per comprare il sale rosa dell’himalaya viene aggredita da uno smilzo e uno sfregiato, che la caricano in macchina e la rapiscono, per un mese intero Giada vivrà letteralmente segregata in una baracca nella periferia milanese….
Con una scrittura scorrevole, priva di giudizi, limitandosi a raccontare i fatti, Camilla Baresani è abilissima a far descrivere a famigliari, amici e colleghi la personalità di una Giada “pre-sequestro” e tra loro la superficialità, il cinismo e il tornacontismo se la giocano così che stringi stringi esce fuori il ritratto di una trentenne bocconiana e arrivista, maniaca della perfezione e attenta alle apparenze, una che sa quel che vuole e lo ottiene sempre, una che è sempre un passo avanti agli altri, una che, in questa faccenda, è un pò "meno vittima" delle altre vittime, una che ha sempre avuto tutto quindi in fondo le sta anche bene quel che è successo, … a controbilanciare ciò c’è Giada, sola, che ha paura e che subisce la violenza, il freddo, la fame, la sete, il sonno, c’è la sua voglia di sopravvivere e poi i giorni che passano e le cose che non cambiano, la voglia di morire e di nuovo la forza per continuare a vivere, catalogare tutto nella sua mente, anche il più piccolo particolare, da poter poi raccontare agli inquirenti quando l’avrebbero trovata, c’è il suo concentrarsi per non uscire di senno, per essere presente almeno a se stessa, per non dimenticare chi è e chi avrebbe potuto essere.
L’autrice racconta di una civiltà sciacalla delle disgrazie altrui, il cavalcare la notizia alimentandola con illazioni per poi passare a notizie più fresche che fanno più audience, ci sbatte in faccia luoghi comuni parlando di un atteggiamento chiuso e provinciale per chi proviene da una piccola città e al contrario si passa alla vita delle grandi città dove i rapporti umani hanno perso ogni valore e “morte tua = vita mia”, ci racconta di una donna che trova il coraggio di dover sopportare i due esseri sciagurati e meschini che l’hanno sequestrata, ma ci racconta anche del suo essere ignara che altrettanta meschinità e miseria d’animo è presente tra coloro che fino a trenta giorni prima abitavano il suo mondo.