Dettagli Recensione
RESILIENZA
Era molto tempo che volevo leggere questo romanzo di Marco Balzano, attirata dalla foto di copertina prima che dalla sinossi, e devo dire che mi è piaciuto molto. Apparentemente è un romanzo semplice che offre invece molteplici spunti di riflessione, con uno stile volutamente discorsivo per sottolineare l’importanza data alla lingua nella storia di quelle montagne. Ambientato in Sud Tirolo, precisamente in Val Venosta, dove ancora oggi esiste un bilinguismo italiano-tedesco con una propensione per quest’ultimo, “Resto qui” racconta la storia di Trina, della sua famiglia e degli abitanti di Curon e Resia, paesi che verranno sommersi dall’acqua di una diga nel 1950. Pur avendo soltanto 180 pagine, questo libro ci trasporta in un mondo che non c’è più raccontandoci quarant’anni di vita dal 1920 circa agli anni ’60 per mano di Trina, per mezzo della lettera che lei scrive a Marica la figlia scomparsa tanti anni prima. Così attraverseremo il fascismo, la guerra, il nazismo, il primo dopoguerra, sempre con l’incubo della costruzione della Diga, che dal 1939 si farà reale solo 11 anni dopo distruggendo per sempre quella comunità montana. Nelle modalità di costruzione della diga che furono usate ho rilevato un’attinenza con i recenti avvenimenti sulla Tav: non si impara mai dagli errori, non si ascoltano mai le voci di coloro che vivono e conoscono quel territorio né si chiedono pareri su come poter fare meglio un’opera rispettando i luoghi senza stravolgerli.
“Resto qui” a mio avviso è principalmente un romanzo sulla mancanza: di Marica, la figlia che sceglie di abbandonare i suoi genitori per non essere come loro (e che io mi sono immaginata morta), di cultura, di rispetto per quelle valli e quella vita, delle proprie radici ma soprattutto mancanza di parole, quelle per esprimere i propri sentimenti; sono importanti le parole, la lingua in “Resto qui”. Quelle popolazioni verranno violentate dal regime fascista che impose l’italiano a forza nelle scuole, che discriminò e inviò al confino chi insegnava in tedesco, che tentò una impossibile commistione fra quei montanari burberi e di poche parole con disperati che venivano dal sud Italia col miraggio della terra. Le parole, la lingua sono il cemento di un’identità etnica comune e per Trina, la protagonista, saranno anche una salvezza: lei scriverà, suo marito Erich, non sapendolo fare disegnerà (che tenerezza emozionante ho provato quando Trina scopre il suo quaderno dei disegni!) ma tutti e due si porteranno dietro in maniera diversa la mancanza.
Mentre nella prima parte del libro è Trina la vera protagonista, poco a poco il racconto lascia spazio a suo marito Erich Hauser, al suo amore per quella terra, al suo coraggio, al suo attivismo utopico. Con Trina, con sua madre e con tutte le altre splendide figure femminili, questo romanzo ci offre anche una piacevole opportunità di riflessione sul coraggio e la resilienza delle donne, il loro andare avanti comunque a dispetto dei dolori e delle avversità (“Andare avanti, come diceva Ma’, è l’unica direzione concessa. Altrimenti Dio ci avrebbe messo gli occhi di lato. Come i pesci”).
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