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Una fine che non finisce
Non credo di essere in grado di parlare di questo libro, ma posso dire cosa ho provato nel leggerlo: malessere, disagio, freddo, solitudine, fame, disgusto, disperazione...
Ho trovato gli echi apocalittici della strada di McCarthy, la fame avvolgente di Knut, la bestialità del condominio di Ballard, la disperazione dei ciechi di Saramago, la voracità dei Cariolanti di Naspini...
Tutto condensato in un paio di centinaia di pagine.
Troppo carico, troppo disperato, troppo cupo, troppo tutto.
O forse io non ero preparata a dover incassare così tanta violenza.
Esposito ha voluto raccontare la fine di un mondo che non finisce, un tempo fermo che va avanti all'infinito, un inverno senza fine che inghiotte tutto ciò che prima era "umano".
E lo ha fatto attraverso una narrazione fredda come la morte, priva di pathos, dove tutto accade perché deve accadere, senza spiegazioni, senza stupore.
Ma c'è anche della poesia in tutta questa drammaticità.
Ci presenta Giovanni, che, dopo aver perso un fratello (morto di freddo) e il padre (impazzito), inizia a vagabondare, solo e sperduto, in una terra spettrale, con la sola compagnia di un'ombra e di una voce proveniente dal buio, che pronuncia parole a lui incomprensibili, parole di silenzio che lo conducono verso il vuoto, il nulla...
Giovanni non è portatore di nessun messaggio, di nessun fuoco...sarà soltanto chiamato ad essere testimone della fine dell'umanità.
Non c'è una collocazione temporale, né geografica...tutto è sospeso, anzi...tutto è in caduta libera, fagocitato dal vuoto.
"ANCHE QUESTA FINE NON FINISCE E NON FINENDO FINISCE.
UN TEMPO SMASCHERATO TORNA A FLUIRE."
Un libro disperato e disperante, terribilmente duro.
Un esordio potentissimo, feroce e incisivo, ma che, secondo me, risente troppo del confronto con chi lo ha preceduto.