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Chiudi quel telefono...
Quando l'ossessione amorosa si sposa con la tecnologia si entra in un vortice di follia che porterà, inevitabilmente, all'autodistruzione.
E quando accade, non c'è nulla che possa proteggere dall'idiozia, non l'intelligenza, non la cultura, non l'esperienza...niente.
Ci si ritrova danneggiati.
Disfunzionali.
Nudi...spogliati anche della propria dignità.
Prigionieri di un meccanismo perverso che mangia dall'interno, consumando tutto ciò che c'era di buono.
S'innesca una sorta di elaborazione dell'abbandono che punta a colpire l'oggetto del dolore, ma che alla fine si rivela autolesionistico e autoumiliante.
La dimensione virtuale ci priva del corpo e, automaticamente, ci svincola dalla nostra identità e dal senso di responsabilità.
Senza il nostro corpo da tutelare possiamo abbruttirci, umiliarci, perpetrare comportamenti vergognosi con tutta la consapevolezza che siano tali, ma non per questo evitabili.
"Il corpo è l'unico principio di responsabilità che abbiamo".
E spesso, alla fine, è proprio il corpo a salvarci.
Si ammala, crolla, urla, ci stordisce...ma quando meno ce lo aspettiamo ci porta via, ci mette al sicuro.
Ci salva anche da noi stessi.
Anna, la protagonista del romanzo, ci fa un po' pena, prendiamo le distanze dai suoi comportamenti deliranti, ridiamo della sua follia...ma sotto sotto sappiamo di non essere poi così diversi.
Questo libro è figlio del nostro tempo, usa un linguaggio che conosciamo bene, schietto, e non si preoccupa di sembrare volgare, perché lo è, perché lo siamo.