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Prendersi cura
Romanzo delicato sul disagio giovanile visto da dentro, dalla parte dei protagonisti, mentre al di là del vetro, a guardarli, ci siamo noi, “le persone di buon cuore”, quelle che vedono solo la punta dell’iceberg e si preoccupano delle cose in fondo meno importanti, provocando anche qualche danno nel tentativo di fare del bene e ferendo sensibilità tramite la pietà e la compassione.
Il disagio in questi romanzo ci appare meno crudo eppure più profondo perché non è rappresentato nelle difficoltà pratiche e materiali (per quelle ci sono le persone di buon cuore), ma soprattutto nei sentimenti. E’ un romanzo tutto sul prendersi cura e sull’abbandono. Quanto amore c’è nel prendersi cura e anche quanto ce ne può essere nel non riuscirci , e persino quanto se ne può nascondere nell’abbandono, nella fuga dagli affetti e dalle proprie responsabilità.
L’amore può prendere strade strane, contorte, perché si mescola alle nostre paure, debolezze, insicurezze, inadeguatezze. La differenza è data dalla forza (che la Forza sia con te!), e dunque distinguiamo chi riesce a vincere le proprie paure e a respingere i mostri al di là del muro e chi non ci riesce, non sempre almeno, e dunque fugge, o si rifugia in vizi e dolori che rinchiudono il proprio amore in spazi angusti di solitudine e smarrimento.
Fabio Geda, che prima di fare lo scrittore ha lavorato nei servizi sociali occupandosi di disagio giovanile, ci descrive adolescenti e persino preadolescenti che le necessità della vita fanno maturare prima del tempo, tanto da diventare più forti dei loro smarriti genitori: adulti prigionieri delle proprie debolezze, della difficoltà di comunicare, incapaci di incanalare il loro amore dentro argini sicuri e protettivi. Dimenticano purtroppo che di questo amore, anche se fragile, inespresso, o espresso malamente, seppellito o soffocato dalle abitudini e dalle tonnellate di orpelli che gravano sulla vita adulta, i figli hanno un disperato bisogno, lo richiedono più e prima di ogni altra cosa, tanto da farsi loro stessi argine contro le avversità, pur di ristabilire un contatto autentico con chi li ha messi al mondo.
La forza deriva frequentemente dal coraggio e in Anime Scalze conosciamo due ragazzi davvero coraggiosi, ognuno a suo modo. Il modo paziente e silenzioso di Asia, che a dodici anni si trova a supplire il ruolo di una mamma improvvisamente scomparsa, e il modo più appariscente di Ercole, che già nel nome contiene un destino di gesti ed imprese sopra le righe.
Nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza c’è un altro elemento imprescindibile: la ricerca della verità. Quando papà e mamma cessano di essere due maghi onnipotenti e onniscienti, si ha bisogno di vederli nella loro autentica umanità. Questo turba, preoccupa, impaurisce: eppure non c’è limite, difetto, colpa o delitto che possa frenare l’amore dei figli quanto invece può allontanarli la menzogna o l’occultamento della verità.
Gli adolescenti di Anime Scalze hanno tanto da insegnare agli adulti. Più che insegnare, riescono a disseppellire quelle qualità che gli adulti hanno ormai dimenticato, distratti da tante incombenze in fondo così poco importanti. E’ semplice, in fondo: alla base di tutto c’è il coraggio, che dà forza, e conduce alla verità. Coraggio, forza e verità creano quello stato di fiducia così importante per affrontare con serenità tutto il corso della vita.
“Sapevo di avere Viola alle spalle, le sentivo il fiato e intravedevo gli spruzzi del remo nell’acqua. E sapevo che non mi sarei dovuto voltare a cercarla. Procedevamo allo stesso ritmo, negli occhi la partenza, che quella la si conosce sempre, e nel respiro una quieta fiducia, come quella di certe anime scalze mentre risalgono i fiumi in cerca della sorgente”.
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