Dettagli Recensione
L'amica da prendere a sberle
Non è facile scrivere la recensione di un romanzo quasi universalmente amato e lodato da pubblico e critica come "L’amica geniale": se da un lato si è automaticamente portati a cercare di comprendere cos’è che piace così tanto e quindi a cogliere tutti i possibili aspetti positivi dell’opera, dall’altro si ha anche la forte tentazione di trovare qualche difetto, cantare fuori dal coro unanime delle lodi sperticate e dimostrare di aver colto una mancanza o un’imperfezione sfuggita a tutti gli altri. Ho iniziato la lettura del romanzo di Elena Ferrante spinta da questi motivi contrastanti, capire cos’è che ha stregato milioni di lettori in tutto il mondo e al tempo stesso dimostrare a me stessa, che davanti ai best seller osannati di qua e di là tendo sempre ad arricciare un po’ il naso, che dopotutto le masse in adorazione non ci hanno preso fino in fondo. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti.
Non si può negare che nel complesso "L’amica geniale" sia un bel romanzo. Dopo un incipit un po’ lento e “faticoso”, con salti continui da un piano temporale all’altro che rendono difficile comprendere l’esatta sequenza cronologica degli eventi, la lettura diventa scorrevole e accattivante. Il ritmo del racconto è molto vivace, al punto che si potrebbe dire che ne succede una dietro l’altra, e ogni pagina mette una gran curiosità di sapere cosa succede dopo. In fondo la trama cattura con facilità: non si può non empatizzare, almeno all’inizio, con Elena e Lila, due bambine che tentano di salvare se stesse e trovare un riscatto in un rione periferico napoletano, un microcosmo dominato dalla violenza, dalla povertà, dalla logica della sopraffazione, dall’assenza di speranza, e tuttavia descritto con realismo e sobrietà, senza mai scadere nel cliché o nel compiacimento bozzettistico. I personaggi sono tutti molto “concreti”, ben caratterizzati, e talvolta è notevole la sottigliezza con cui l’autrice sa scandagliare gli stati d’animo fino alle pieghe più sottili e nascoste.
Ci sono, però, anche non pochi elementi negativi o quanto meno non pienamente positivi, che intaccano un po’ il piacere della lettura e mi impediscono di assegnare un punteggio più alto, a cominciare dal finale del libro. Si sa che la saga della Ferrante è composta da quattro volumi e non mi aspettavo che il primo fosse un romanzo autoconclusivo, ma non mi aspettavo neppure che fosse bruscamente troncato da un “finale” che in realtà non è affatto un finale, bensì una scena interrotta a metà. Capisco l’esigenza di creare suspense e invogliare i lettori a proseguire la storia, ma un romanzo, anche quando fa parte di una saga, deve pur avere una chiusura, un punto di arrivo netto. "L’amica geniale" termina lasciando addosso la sensazione di una lunga corsa che si schianta di colpo contro un muro appena svoltato un angolo e non riesco ad abbandonare il sospetto che questa conclusione sia stata pensata appositamente per spingere il lettore a comprare di corsa il secondo volume, divorato dalla curiosità. Il marketing va bene, ma è preferibile evitare di sbatterlo in faccia in modo così plateale.
Sebbene lo stile sia nel complesso scorrevole e piacevole, la Ferrante si lascia prendere ogni tanto da una tendenza a “filosofeggiare” che appare un po’ fuori tono in un romanzo così “concreto” come questo, fatto di vita vera, di storie, donne e uomini che potrebbero essere spuntati fuori dai racconti dei nostri nonni, ed elabora concetti un po’ astrusi e non del tutto chiari, primo fra tutti la smarginatura. È vero che probabilmente l’autrice fornirà spiegazioni più precise nei libri successivi, ma non capisco il senso di inserire un elemento quasi sovrannaturale in un racconto dal sapore neorealista. Su questo aspetto, tuttavia, è giusto sospendere il giudizio, in attesa di assistere ai suoi sviluppi con il prosieguo della storia.
Meno tollerabile è invece una pecca che affligge la parte centrale del testo, nella quale la trama si trasforma in una sorta di gioco delle coppie: chi è innamorato di chi? Chi si fidanza con chi? È comprensibile che tali questioni abbiano un ruolo così rilevante nelle vite di ragazzine che a stento hanno concluso le scuole elementari, ma l’ insistenza protratta sulla formazione delle coppie finisce con il diventare noiosa. Una volta superata questa fase, però, la narrazione riprende a scorrere in modo più fluido.
La pecca che invece non c’è modo di superare durante la lettura sono proprio loro, Elena e Lila, le due protagoniste. Ho trovato quasi impossibile riuscire ad apprezzarle. Lila è Miss Perfezione: è bellissima, intelligentissima, disegna scarpe mai viste prima, studia da autodidatta imparando meglio di Elena che frequenta il liceo, tutti gli uomini che la vedono perdono la testa per lei, tutti i vestiti che indossa le stanno alla perfezione, tutte le acconciature che prova la fanno sembrare una diva del cinema, tutte le idee che ha sono geniali proprio come lei, “l’amica geniale”, appunto, sebbene nel romanzo questo appellativo sia in realtà rivolto ad Elena e sia proprio Lila a chiamarla così. Lila sarebbe una perfetta Mary Sue se non fosse per quella vena di cattiveria che forse la renderà più umana, ma anche più detestabile. Sono state davvero pochissime le volte in cui leggendo di lei non ho alzato gli occhi al cielo sbuffando. Dal canto suo, anche Elena non è certo un bel personaggio e poiché la narrazione è affidata interamente a lei, sono arrivata ben presto a trovarla insopportabile almeno quanto la sua amica. Elena vive la propria esistenza in funzione di Lila, tutto ciò che fa è finalizzato alla competizione con lei e qualunque esperienza viva è costantemente tormentata dall’idea che valga meno delle esperienze vissute da Lila, che la sua amica faccia qualcosa di più e che lei debba assolutamente cercare di imitarla. Quando va alle scuole medie e poi al ginnasio, non è felice perché pensa che nella vita potrà diventare qualcosa di più di una commessa, ma solo perché finalmente sta facendo qualcosa che Lila non può fare, dal momento che suo padre le ha impedito di andare oltre la licenza elementare. Elena non è mai se stessa, in qualunque circostanza si trovi non fa che pensare a Lila, a cosa direbbe o farebbe lei e tenta continuamente di imitarla, vittima di un complesso di inferiorità che le avvelena letteralmente l’esistenza. Di solito si tende a pensare che gli amici più autentici e importanti siano quelli con cui non si deve mai indossare una maschera, ma è possibile mostrare liberamente ciò che si è ed essere accettati a prescindere. Il rapporto tra Elena e Lila funziona esattamente al contrario e la prima non fa che sentirsi inadeguata. Perfino quando scrive una lettera alla sua amica si sente in dovere di imitarne lo stile epistolare, che ovviamente è perfetto e meraviglioso, mentre giudica il proprio banale e infantile. Eppure quando Elena scrive un tema scolastico contando unicamente sulle proprie forze, prende otto, quando lo scrive mettendoci dentro le (grandiose) idee di Lila, prende nove o dieci e questo basta a mandarla in crisi totale. È davvero snervante leggere pagine e pagine di esaltazione assoluta di Lila, che sa fare tutto e capisce tutto, seguite da pagine e pagine in cui Elena alterna invidia e ammirazione ad avvilente disperazione quando non riesce ad eguagliarla o un bieco atteggiamento di trionfo quando invece le sembra di averla superata. La fantomatica amicizia che le unisce e che viene letteralmente osannata e decantata nella quasi totalità delle recensioni è in realtà un rapporto quasi malato e non molto positivo né per Elena, che, pur proseguendo gli studi con buoni risultati, continua a vivere come un satellite di Lila senza mai sviluppare idee, progetti o anche solo una personalità autonoma, né per Lila, che, amareggiata perché all’amica meno brillante è stato concesso di continuare a studiare e a lei no, non si fa mai sfuggire l’occasione di mortificarla con la sua intelligenza e dimostrarle che lei resta sempre e comunque la più brava delle due, con o senza licenza liceale.
Un atteggiamento del genere è comunque accettabile, per quanto sbagliato, ora che le protagoniste sono adolescenti, ma c’è da sperare vivamente che già nel prossimo volume Elena inizi a staccarsi dall’ossessione del confronto con Lila e a condurre un’esistenza autonoma e che al tempo stesso Lila si impegni per migliorare concretamente la propria condizione invece di limitarsi a far sentire inadeguata la sua (presunta) amica. Più che "L’amica geniale", forse un titolo adatto per questo romanzo sarebbe "L’amica da prendere a sberle": già, ma è Elena che deve prendere a sberle Lila o il contrario? Il mio suggerimento è che si prendano a sberle a vicenda. Così magari la piantano.
Anche se lo scopo dell’autrice è raccontare un rapporto “malato” e non la splendida amicizia decantata nelle recensioni, ci si aspetta che a un certo punto sottolinei in modo chiaro e tondo che questo comportamento è sbagliato, anche se poi i personaggi non dovessero mai riuscire ad uscirne. Per ora questo non è accaduto e non è arrivato neppure il momento in cui mi è sembrato di cogliere con chiarezza il motivo o i motivi per cui questo libro è considerato un capolavoro. È una lettura piacevole e interessante, ma da qui a gridare al miracolo editoriale c’è un po’ di differenza. "L’amica geniale", tuttavia, è solo il primo volume di una quadrilogia: c’è tempo per chiarire, spiegare, migliorare, ed è per questo che, sebbene le ombre non manchino, il giudizio complessivo sul romanzo resta positivo.
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