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NUOCE GRAVEMENTE ALLA FANTASIA
“Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
“follia”.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
“malinconia”.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
“nostalgia”.
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.”
Forse la celebre “Chi sono”, datata 1909, può aiutare il lettore a godere del romanzo futurista in versione originale, senza correre il rischio di restare ingabbiati nel contesto socio-culturale, nelle maglie seppur larghe del Futurismo, o ancora nella biografia dell’autore. Tutte queste vie sono già state percorse dalla critica, aiutano a orientarsi, perché no, ma ritengo che qui, come in ogni altra opera d’arte, la fruizione individuale, deve essere maestra rispetto a qualsiasi altra lezione.
FOLLIA, MALINCONIA, NOSTALGIA estrapolate dalla lirica insieme agli strumenti dell’anima PENNA, TAVOLOZZA, TASTIERA, riassumono una poetica di pura negazione: né poeta, né pittore, né musìco. Semplicemente un potente strumento ottico occorre per rendere noto ciò che agita un’anima dislocata nel cuore, epicentro dell’umano sentire. L’iperbole del sentire potenziato, l’iperbole della sua rappresentazione surreale, fiabesca, generano un romanzo drammatizzato di godibile lettura e di amara ambivalenza, deprivato inoltre, come nella migliore tradizione, di una lettura univoca.
Di che si tratta? Mettiamola così, sul semplice, in un primo piano di lettura: un uomo di fumo giunge inaspettato in un paese governato da un re; la sua natura è evidente ma egli la disvela meglio non tacendo le sue origini. È stato originato in una canna fumaria al suono delle voci di tre donne, Pena, Rete, Lama, PERELÀ, e al loro svanire è scivolato lunga la canna, ha calzato un paio di scarpe ed è giunto nel paese. Accolto e benvoluto da tutti, viene addirittura invitato a redigere il nuovo codice della comunità. Un evento drammatico pone fine alla sua accettazione, repentina, quanto la sua ascesa sociale, la sua caduta che evolve in una assunzione al cielo.
Vogliamo spiegare il surreale, il metafisico, vogliamo dipanare la matassa allegorica?
Non posso e non voglio. Perelà è per me la verità, codice egli stesso per decifrare il mistero dell’uomo e della divinità. È follia, è malinconia e insieme nostalgia, guardare il cielo e scoprire un’essenza inafferrabile, cercando di scorgere, ora, anche un po’ di fumo residuo, di volatile sostanza di ciò che egli fu, non grigio fumo però, ma eterea nube. Ecco come un’opera d’arte nuoce gravemente alla fantasia, ecco la mia è ora inquinata da Perelà e guardare il cielo non sarà più la stessa cosa.
Buona lettura.
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