Dettagli Recensione
Andreas, Neve, Edith, Manuel.
Novembre è una piccola isola idilliacamente situata nel Mar Tirreno la cui tattica posizione la colloca a ridosso della Sicilia ma a una distanza che rende accessibile anche i contatti con la Sardegna. Sono quasi quindici anni che Manuel non vi sbarca e certamente mai avrebbe pensato di farvi ritorno proprio ora che l’alcool, da un semplice palliativo, è diventato un motivo per rifuggire alla realtà, è divenuto un problema. Sta scappando da Roma il ventottenne, sta scappando da sua madre, da Greta la sua ormai ex fidanzata per un grave errore che ha commesso nei suoi confronti, ma soprattutto sta scappando da sé stesso. Non trovando appiglio nemmeno dalla figura paterna, il giovane decide di recarsi sull’isola in cui un tempo erano vissuti i nonni ed è qui che conosce Edith, è qui che questa “crucca” ventiquattrenne proveniente da Dresda gli rivela che nel ’52 era stato detenuto all’interno del carcere di Santa Brigida, sorella minore di Novembre, un violinista, un uomo biondo, dal corpo slanciato e dalla musica maledetta, un uomo che da quelle mura ha conosciuto una donna che gli ha rapito il cuore e attorno alla quale si cela il mistero del violino e degli spartiti scomparsi. Nonostante le reticenze iniziali, Fortis decide di aiutare la tedesca e così il lettore si risveglia nel 1952, conosce Neve, conosce Libero, conosce Livia, conosce Santo e conosce Santa Brigida in quello che è un perfetto alternarsi di ieri e oggi, presente e passato. Perché mentre conosciamo Edith e Manuel, mentre seguiamo la loro ricerca e ne restiamo affascinati essendone pagina dopo pagina incuriositi, conosciamo anche loro, Neve e Andreas von Berger, conosciamo la loro vita, i loro segreti, i loro pensieri. Neve, soprannome determinato dal suo candore mixato a questi capelli color oro chiarissimi, ha appena diciassette anni quando incontra il ventottenne carcerato, ha un corpo minuto, spigoloso, magrissimo, è di una bellezza unica nonostante non si curi, una curiosità che non ha freni e essendo l’ultima di sette sorelle è anche colei che è stata destinata al lavoro del padre pescatore che non manca – a causa del suo vizio del bere – di farle sentire le mazzate per quel carattere indomabile. È proprio questa curiosità irrefrenabile ad avvicinarla ad Andrea e a reggere le fila dell’ultimo lavoro di Valentina D’Urbano.
Con un linguaggio fluente anche se non particolarmente ricercato, l’autrice ci dona infatti un romanzo dalla trama ricca e solida, dai personaggi ben delineati – tanto i principali quanto i secondari –, dall’intreccio narrativo compatto e privo di sbavature e al contempo intriso di spunti di riflessione. Perché oltre a un mistero che solletica le corde del conoscitore e un romanticismo genuino e puro che fa doppiamente battere il cuore e divorare il testo, la scrittrice ci parla anche di tematiche quotidiane e attuali quali il contingente ricorso all’alcol per moda o più semplicemente per scappare dai problemi, il desiderio di accettazione per quel che siamo in una società dove l’unica cosa che conta è l’apparenza, la difficoltà di darci una seconda possibilità, il senso del giusto e dello sbagliato e il saper accettare i nostri errori e farsene carico anche se la punizione non sarà indolore.
«Se ami davvero qualcosa, la ami a tal punto da farti del male» p. 171
In conclusione, un elaborato godibilissimo, di facile lettura (confesso di aver esaurito tutte le sue 500 pagine in una giornata), con una costruzione che non delude le aspettative e che si confà ad un pubblico eterogeneo.
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Ottima recensione.
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