Dettagli Recensione
Riportata
Questo romanzo di Donatella di Pietrantonio è stato un caso letterario, poi vincitore del Premio Campiello 2017. E’ ritenuto quasi unanimamente un piccolo capolavoro ma, anche se a malincuore, devo dissentire. Il romanzo è scritto bene, la storia è toccante, la lettura interessante, ma l’impressione è che tutto rimanga in superficie; manca l’approfondimento psicologico, la caratterizzazione dei personaggi è solo accennata, non va mai veramente a fondo. La di Pietrantonio mette davanti al lettore un tema importantissimo come la maternità (ma anche l’affido dei bambini) senza riuscire però a scuoterlo, a far sì che si ponga delle domande o almeno che sia partecipe. In due parole questo romanzo manca di passione, non mi ha emozionata e dopo qualche giorno di sedimentazione della lettura mi sono accorta che non mi è rimasto nulla. Credo che tutto questo sia dovuto tanto alla scrittura scarna, tagliente, senza fronzoli ma forse troppo povera che alla brevità del romanzo stesso, un po’ più di pagine non avrebbe guastato. A scusante della scrittura si può dire che il racconto è fatto dall’ arminuta stessa che è una bambina di 13 anni e quindi l’autrice si è dovuta calare nel linguaggio proprio di quell’età anche se, ripeto, rimane molto distaccato; interessante invece è la mescolanza di dialetto e italiano che da verve alla prosa risultando comunque leggibilissimo. La storia inizia con una bambina che viene rimandata alla sua famiglia naturale da quelli che credeva essere i suoi veri genitori; in un attimo la sua esistenza viene stravolta: passa da una vita agiata e piena di attenzioni a quella povera sia di denaro che di sentimenti della nuova donna che lei non riuscirà mai a chiamare mamma. Al posto della sua cameretta con i poster trova uno stanzone dove tutti dormono insieme, i genitori e gli altri fratelli, tre grandi, un bambino piccolo e una femmina, la piccola Adriana. E’ proprio lei che illumina con la sua figura questo libro, lei che dal primo momento la riconosce come parte di sé, la prende per mano e l’aiuta a vivere e a difendersi in quel mondo così ostile e sconosciuto. Il fratello più grande, Vincenzo, non la riconosce invece come suo sangue e se ne innamora come donna, in realtà innamorandosi di quello che a lui manca, di quello che lui non avrebbe mai potuto essere. Molto suggestiva è la giornata che i tre passano al mare. L’azione si svolge negli anni ‘70 in Abruzzo (il dialetto è quello, arminuta significa ritornata) tra un paese di montagna e la “città di mare” dove viveva prima; ma perché i genitori l’hanno rimandata indietro? E perché la prima madre, pur non volendo più né vederla né parlarle, l’aiuta con doni e denaro? E’ forse malata? Tutte queste domande avranno naturalmente una risposta, una triste, vigliacca risposta. A mio avviso la figura della madre “adottiva” è veramente spregevole, cosa che viene confermata nel troppo affrettato finale. Alla fine si dimostra una “donnetta” differentemente dalla madre naturale che, nella miseria, ha dovuto fare a suo tempo una scelta dolorosissima pensando che fosse per il bene. I genitori naturali sanno che la loro è una bambina speciale, la trattano con rispetto e hanno il loro modo rude di dimostrarle amore, quasi non credono che sia figlia loro tanto è diversa –“..sulla porta mia madre aveva avuto un ripensamento e si era voltata indietro. “alla scuola non ci so andata, ma stupida io non ci sono professore’ l’ho capito pure da sola che essa tiene il cervello per lo studio” Mi toccava la testa parlando… “ Vedo come posso arrangiarmi e la faccio continuare”…”-.
Non sapremo mai il nome de l’Arminuta: un nome implica che si è un individuo, lei invece per tutti i suoi genitori è stata solamente un fardello.
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Un libro che ho subito accantonato, perché trovo che i libri che parlano di bambini abbiano spesso qualcosa di artefatto, di 'falso' . Ultimamente ci son cascato con "Ditelo a Sofia" della Szabò, autrice che amo. Anche lì però la solita storia.
Ci sono ovviamente eccezioni, come il bellissimo "Il libro dei bambini" di A. Byatt , un capolavoro.
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