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Ci vediamo a Quinnipak
CONTIENE SPOILER!
"E lui diceva 'Ho fatto un salto a Quinnipak'. E' una specie di gioco. Serve quando hai lo schifo addosso, che proprio non c'è verso di togliertelo. Allora ti rannicchi da qualche parte, chiudi gli occhi, e inizi ad inventarti delle storie. Quel che ti viene. Ma lo devi fare bene. Con tutti i particolari. E quello che la gente dice, e i colori, e i suoni. Tutto. E lo schifo a poco a poco se ne va. Poi torna, è ovvio, ma intanto, per un po', l'hai fregato."
Questo è Quinnipak: un bellissimo tableaux vivants. Un quadro ricco e coloratissimo con tanti personaggi e le loro improbabili vite che si intrecciano e scorrono, scorrono, scorrono. Lo si capisce solo alla fine, il colpo di scena che proprio non t'aspetti: Quinnipak è la fantasia che corre, si inventa particolari, emozioni, suoni - soprattutto suoni - e costruisce delle vite impossibili, impreparate alla vita, bellissime e tremendamente tragiche - per estraniarsi da qualcosa di ancora più tragico: la realtà.
Ci sono il signor Rail, la signora Rail - Jun, bellissima, con il destino stretto al petto che trattiene il respiro da anni, ma che prima o poi deve ricominciare a respirare... Ci sono Pehnt che sarà uomo quando la giacca nera che indossa gli andrà perfetta ("Chissà qual è l'attimo in cui una giacca diventa perfetta"), e il buon vecchio Pekisch, caro amico, capace di suonare e sentire tutte le note del mondo, anche quelle invisibili, ma che una nota sua non ce l'ha, e morirà quando la musica gli esplode in testa.
E Mormy, sopraffatto dalla meraviglia, e Horeau e i suoi sogni di vetro, che solo Andersson poteva realizzare. E poi la vedova Abegg, e poi Elizabeth, la locomotiva-relitto in mezzo ai campi.
A legare insieme tutti loro c'è il destino. Il destino come un proiettile - "Il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto se finirà a spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque. Lo vede il destino? Tutto è già scritto eppure niente si può leggere." Il destino come un treno in corsa, perché "ognuno ha davanti le sue rotaie, che le veda o no". "Il destino fa fuoco con la legna che c'è... fa fuoco anche con una pagliuzza, se non c'è altro..."
Sono questi i grandi temi del primo libro di narrativa di Baricco, che poi torneranno anche in tutti i suoi libri seguenti. Il destino, che corre inesorabile, già scritto eppure tutto da scoprire. La vita, che brucia vigliacca ma magnifica. La morte, che arriva per tutti, ma c'è chi la affronta meglio di altri.
Lo stile di Baricco, più che mai in questa sua prima opera, è manieristico, pieno di periodi e sottoperiodi e frasi e altre frasi... fino a riempire intere pagine, senza pause, un discorso unico che scorre come acqua e si ferma solo al punto del capitolo. Forse troppo manieristico, un po' pesante, tanto che a volte copre la trama e diventa puro esercizio di stile. E' una cosa che a mio parere poi nei libri successivi ha imparato a stemperare: esce sempre prepotente l'estro artistico, ma convive meglio con la storia e fa respirare i personaggi. Qua un po' manca quest'aria.
Ma forse è solo una naturale conseguenza di tutta questa ricchezza: di personaggi, di particolari, di sentimenti, di profondità, di fantasia. Soprattutto fantasia.
Baricco si è inventato, ci ha inventato, Quinnipak: rifugio fantastico per i momenti che ti stritolano, per i momenti "quando hai lo schifo addosso". A Quinnipak ci si va per salvarsi, un po', per ora.
Questo libro, benché a primo impatto mi fosse risultato più ostico che altri suoi, alla fine mi ha profondamente commosso e sento che non riuscirò a rendergli la giustizia che merita con questa recensione.
Posso solo dirvi: leggetelo. Affezionatevi ai personaggi, ridete delle loro imprese e piangete delle loro sventure. E poi fatevi commuovere dalla fantasia di una donna che scappa dalla sua vita - dal suo destino? - e si inventa tutto un altro mondo, dove le persone non se la cavano meglio, ma sono persone e sfuggono allo schifo della vita proprio come lei.
Leggetelo, salvatevi.
"Mi guardò e mi disse due cose: Tu sei troppo bella per tutto questo. E poi: Ci vediamo a Quinnipak."
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Commenti
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Concordo pienamente con Kafka62,
"Castelli di rabbia" così come "Oceano mare" e "Novecento"
ma a mio parere anche e soprattutto "City",
sono in grado di regalare epifanie difficilmente reperibili in altre letture.
Riguardo il discorso del manierismo nella scrittura
penso invece che gli ultimi scritti siano decisamente più pesanti dei primi:
mi viene in mente "La sposa giovane" a tratti decisamente insopportabile
per il suddetto esercizio barocco della parola portato all'estremo.
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