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I beati anni del castigo
 
I beati anni del castigo 2018-12-04 07:59:08 68
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68 Opinione inserita da 68    04 Dicembre, 2018
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Repulsione ed attaccamento

Un collegio svizzero nell’ Appenzell ed una vita di riflesso, un incontro folgorante per un sentimento intenso, d’ amore, una educazione protratta, la fine di tutto, una rivelazione terribile, il dubbio tra realtà e sogno.
Di certo il rapporto tra la voce narrante, una studentessa da sempre rinchiusa tra le mura collegiali da una famiglia evanescente e lontana e Frederique, algida e distaccata compagna di studi, da subito riflette stranezza, unicità, ambiguità, opposizione di forma e contenuti, pensieri e sembianze.
La rigida compostezza e ritualità del Bausler Institute, massima espressione di ordine e rigore, contrapposto al sogno di una fanciulla che ricerca solitudine ed assoluto e che invidia il mondo.
Frederique è altro, una figura eterea, spesso silente, distaccata, disgustata, senza umanita’, un idolo sprezzante, che sembra sapere già tutto dalle generazioni che l’ hanno preceduta.
È la più brava ed incute rispetto, una sorta di fanatismo immune da ogni effusione fisica, oltre che una ammirazione sconfinata, il desiderio di conquistarla e di essere da lei ammirati, con degli occhi cattivi che paiono indaco ed invece sono muschio e palude.
In sua compagnia si vive l’ idea di un pericolo, in realtà inesistente, sembra possedere un segreto nascosto, terribile, una giovane donna che parla da sola con una doppia vita ed un duplice comportamento.
Pare essere una nichilista senza passione, non dire niente ed esprimere una certa violenza ma, tornando all’ istituto, riprende l’ apparenza di perfetta educanda, più interessata alle idee che al genere umano. Le due amiche non parlano mai di cose personali, di soldi, di sogni, delle rispettive famiglie.
Il collegio è la loro casa, una dimora angusta popolata dalle medesime figure, irrigidite da codici comportamentali noti, ovvietà, battute e comportamenti silenti. Li’ dentro si vivono gli anni migliori della propria esistenza con il desiderio di conoscere il mondo, nel tedio di quelle mura ci può essere una allegria fatua, uno zelo funereo, perseverando nell’ idea di andare in fondo alla tristezza, come ad un dispetto.
Il collegio è la voluttà dell’ obbedienza, espressione di ordine e sottomissione, imprime un marchio ed incertezza sul futuro, forgiando dei criminali, o, per usura, dei benpensanti con il piacere del disappunto, conosciuto sin dalla età di otto anni, forse gli anni più belli, i beati anni del castigo, vissuti in uno stato di esaltazione, leggera ma costante.
Di contorno maschere multiformi e Micheline, così simile alla protagonista, una rossa allegra e fatua che vive di esteriorità, infatuata della propria bellezza.
La fine di quegli anni è la fine di tutto e consegna la certezza di non rivedersi, una attesa protratta per chi ci precede e non appartiene al regno dei morti, come la maggior parte delle altre compagne.
Ciò che è stato si porterà dentro, reale ed immaginario penetrano e sconfinano nell’ attesa di un altro incontro, in una malattia delirante, nella terribile verità, nella vacuità di un sogno.
Il linguaggio della Jaeggy, una poetica di essenze ed assenze, che penetra i segreti dell’ animo, la leggera vividezza del reale e la algida crudeltà dell’ immaginario, con una opposizione alternata di contenuti e protagonisti, sfocia in una apparente rappresentazione gotica e surreale degli accadimenti, consegnandoci invero una concreta e lucida scomposizione e ricomposizione della complessità della vita nelle proprie infinite declinazioni, talvolta inafferrabili, impalpabili, soffuse, crudelmente silenti, talvolta vivide, forti, presenti, confine sottile ed immaginario tra normalità e follia…




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