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Madre e figlio
«Possiamo considerarla una eredità questo sentimento di rivolta contro le ingiustizie, che filtra per via parentale da cervello a cervello, da cuore a cuore? Oppure si tratta di un istinto che la natura ci mette a disposizione di fronte alle difficoltà della vita? A tutt’oggi non ho una risposta chiara. Incontro persone che sono sensibili ai soprusi e persone che non lo sono. Eppure ho l’impressione che questo senso di ribellione sia più vicino a un istinto che a una costruzione culturale. L’istinto, però, se non viene coltivato, sollecitato, può addormentarsi e andare in letargo»
La questione femminile è da sempre tema caro a Dacia Maraini, autrice dalla penna tanto delicata quanto diretta che nulla risparmia a chi legge. In “Corpo felice” assistiamo ad un dialogo tra una madre e un figlio, un figlio perduto perché mai nato. Eppure questo fanciullo è vivo poiché abita nei ricordi e nella mente della sua mamma che lo immagina in fasce, che lo immagina crescere, che lo immagina uomo adulto, che lo immagina lottare negli alti e bassi della vita e che per questo ci parla, ci dialoga, ci interloquisce.
Il lettore, dal suo canto, inizia a conoscere dapprima la Dacia bambina che con il suo carattere ligio e orgoglioso ma anche vitale e dal grande senso di giustizia, scappa quando i genitori non le accordano la loro fiducia e anzi pensano che abbia mentito, e successivamente la Dacia adulta e madre mancata. Non si nasconde, la fiesolana. Il viaggio che ha luogo ha sede primariamente nella mente e nelle riflessioni della donna ma chiaramente il suo è un messaggio che non resta fine al proprio essere in quanto diretto ad invitare alla riflessione soprattutto il pubblico maschile. Ciò ha luogo mediante l’espediente del figlio perduto con cui si instaura un dialogo che ha ad oggetto le tante sfumature del gentil sesso, dalla loro voglia di vivere, dal loro desiderio di riscatto, dalla voglia di essere felici, dalle violenze subite, fino all’evidenziarsi delle sofferenze subite da quegli uomini che spesso non le rispettano e amano ma che desiderano, al contrario, spezzarle. Perché le temono, perché hanno paura della loro forza, perché hanno timore del loro ruolo, perché, perché, perché… Di grande capacità empatica la sezione dell’opera che si focalizza sulla condizione femminile nelle strutture di ricovero psichiatrico, i manicomi, per volere di quei padri, di quei mariti, di quei fratelli in quel periodo storico in cui bastava un nulla, un sussurro, ex lege, per togliere la voce.
A cornice di questo contenuto molto forte e riflessivo si erge lo stile narrativo al contempo elegante, chiaro, raffinato, duro, crudo e diretto di una delle scrittrici contemporanee più affermate. Ma badate bene, la Maraini non giudica e non emette sentenze, semplicemente offre una panoramica completa, invoca l’auto-interrogazione. E nel frattempo presenta anche una soluzione a questa diversità tra i due mondi maschile e femminile, una soluzione che non è altro che l’amore. Perché l’amore, semplicemente, ha la forza di aprire le menti, vincere le rimostranze, lenire le ferite del corpo e del cuore.