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Bestie da latte o da carne
In Bestia da latte di Gian Mario Villalta, il narratore indaga sulla sua infanzia, segnata da esperienze dolorose per la presenza di un cugino crudele, che sfoga su di lui l’ingiustizia interiorizzata per una colpa sociale: quella di essere figlio di una donna avvenente, scandalosa nella libertà sessuale non consentita alle donne dalla cultura contadina.
La mente sensibile, intellettualmente predisposta, del protagonista scava nel passato: negli episodi di violenza subita, nelle paure consumate nel silenzio, tra gli insulti che il vendicativo cugino rivolge ai genitori del perseguitato per cercare forse di trasferire su di lui un probabile personale patimento interiore.
I ricordi sono confusi e complessivi sino al momento in cui la memoria diviene analitica (“Dal primo giorno della scuola media in poi, invece, sono in grado di enumerare e distinguere gli anni”) e sono impregnati degli odori e delle sensazioni forti che impressionano la giovane sensibilità.
“Anche gli uomini, come gli animali con i quali avevano condiviso la vita fino a poco tempo prima, diventarono bestie da latte o da carne.”
Con il trascorrere degli anni, anche la società evolve e la vita contadina cede il passo al boom industriale. Il ragazzo diventa un uomo, in lui rimane il senso incompiuto di un chiarimento mai richiesto, di un confronto rimasto inespresso.
Giudizio finale: graveolente, retrospettivo, spietato.
Bruno Elpis