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Sofia si veste sempre di nero
 
Sofia si veste sempre di nero 2018-11-05 12:55:05 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    05 Novembre, 2018
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Ricordati di me

Dopo aver apprezzato la scrittura di Paolo Cognetti in storie di uomini e montagne (Il ragazzo selvatico, Le otto montagne) ho voluto leggere questa sua opera precedente (pubblicata nel 2012) dove parla soprattutto di donne e di città.

In dieci frammenti che possono essere letti anche come racconti indipendenti, Cognetti compie una sorta di viaggio-inchiesta su Sofia, una ragazza dal mondo interiore complesso, puntando a lungo i riflettori anche sulla sua famiglia e sulle persone che più hanno contato nei suoi primi trent’anni di vita.

La conosciamo bambina sensibile tra sogni di pirati e marinai, immersa in una fratellanza con i maschi per non seguire le orme e il destino di una mamma prigioniera della depressione. E’ in quella stagione che si fondano tutte le paure e le ansie successive. La vediamo poi adolescente ribelle in guerra con il proprio corpo e in fuga da se stessa, e infine la ritroviamo trasformata in giovane donna con addosso l’aria di essere sopravvissuta ad un naufragio.

Ad un naufragio in effetti si assiste, ed è quello della famiglia tradizionale, fatta di una mamma, un papà, una figlia e di un secondo figlio che non arriverà mail, la carriera e una casetta appena fuori città per fuggire i rumori esterni e i litigi domestici e per cercare una nuova pace, una vita ordinata da regole, preghiere, legami, rispetto delle forme e senso di responsabilità. Da tutto questo fugge Sofia, buttandosi in ogni sua nuova avventura con slancio, senza crederci e senza pensarci troppo.

Nei dieci racconti leggiamo anche altre storie di fuga dalla realtà, come quella di Roberto, il papà di Sofia, ingegnere all’Alfa Romeo, che affoga la propria inquietudine prima nel lavoro, poi in una relazione extra-coniugale che lui trasforma con ingegneristica maniacalità in una sorta di matrimonio parallelo e infine nel distacco e nella tolleranza zen. O come la storia di Rossana, la mamma dalle aspirazioni artistiche interrotte dal matrimonio riparatore e in perenne e inconcludente ricerca di una stanza tutta per sé. O infine come Marta, la sorella di Roberto, una passato da giovane rivoluzionaria per approdare alla mitezza, all’indipendenza e al buonsenso pratico di una vecchia zia. In fondo, anche se in qualche occasione Sofia ci suscita la tentazione di assestarle “quattro sberle benedette”, giusto per rimanere nel campo della finzione letteraria, dobbiamo convenire che il suo modo di indirizzare la propria irrequietezza non è peggiore di tanti altri, solo un po’ più visibile, più aperto e più sincero. Glielo aveva predetto la giovane infermiera, anche lei in fuga da un passato contadino e opprimente, che assistette al suo parto prematuro e che vegliò sulle sue prime notti: “Sofia, sai cos’è la nascita? E’ una nave che parte per la guerra”.

La sequenza dei racconti non rispetta sempre l’ordine cronologico, tra l’uno e l’altro ci sono diversi buchi temporali e le storie, che si sviluppano a Milano, Roma e New York, si fondono e si completano l’una con l’altra attraverso flashback e anticipazioni, diventando un unico romanzo.
La circolarità dell’opera è accentuata dalla scelta di far comparire l’io narrante (Pietro, alter ego di Cognetti e aspirante scrittore) soltanto nell’ultimo racconto, nel quale Pietro incontra Sofia a New York e ne viene tanto colpito da ricevere l’ispirazione per superare il blocco in cui si era arenato e decidere di scriverne la storia, che infatti inizia con la forma del narratore onnisciente.

Ricordati di me, sembra voler dire Sofia a Pietro l’ultima volta che si vedono sul terrazzo di Columbia Street. Sarà difficile dimenticarla.

Che parli di montagna o di città, di uomini o di donne, Cognetti riesce a rendere sempre interessanti i suoi personaggi e gradevole il tempo passato in loro compagnia. L’autore scava con delicatezza e leggerezza nell’emotività delle sue creature e ne estrae piccole gemme che impreziosiscono vicende tutto sommato comuni, riuscendo a superare con naturalezza anche gli snodi più drammatici come la malattia, la morte, l’abbandono, il tentato suicidio.
Il tratto stilistico è intimista e riflessivo, ma colpisce anche l’ambientazione spazio-temporale curata e credibile. Pur non potendone avere esperienza diretta, per ragioni anagrafiche, l’autore riesce a tratteggiare con buona padronanza la Milano degli anni settanta, l’Alfa Romeo, il declino della grande industria manifatturiera, l’estremismo politico, la costruzione dei quartieri residenziali suburbani.
Il racconto finale, Brooklyn Sailor Blues, è molto affascinante proprio dal punto di vista dell’ambientazione. E’ il punto in cui l’autore, che di New York ha scritto anche una guida, si scopre di più e nel quale cerca di dare un senso e un indirizzo a tutti gli altri: un finale che è anche una cornice.

In definitiva, uno scrittore interessante, da seguire nei suoi prossimi lavori.

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Commenti

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Recensione davvero ottima, Pierpaolo, di un Cognetti che, pur a livello del mare, sembra essere lo stesso molto interessante.
E' sempre interessante leggerti, Pierpaolo. Dell'autore si sente parlare bene, ma per cominciare penso di dover scegliere "Le otto montagne".
Ciao Pier, grazie anche per il tuo consiglio su Scerbanenco (da vero intenditore!)
Grazie a tutti
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