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Stereotipi e clichè - ma stile sempre impeccabile
Premetto che io adoro lo stile di Gramellini, leggevo con piacere i suoi interventi su La Stampa e lo leggo con piacere sul Corriere. Persino le risposte che da su Vanity Fair mi strappano un sorriso, perché lo stile è innegabile.
Peccato che in questo libro ci sia solo questo: lo stile.
Il protagonista, Tomàs, è una persona apatica che guarda la vita da spettatore, è allergico alle relazioni umane, si autocensura in nome di un trauma vissuto da piccolo che gli ha reso impossibile diventare adulto. Per smuovere la sua situazione, Gramellini gli fa fare un viaggio onirico? fantastico? "da favola". Ma è una favola strana, dove gli insegnamenti morali sono travestiti da parodie, la comicità forzata è all'ordine del giorno, i personaggi che si incontrano per strada stereotipi fatti e finiti.
E anche a volerla leggere con leggerezza, a non volergli attribuire più valore di quello che vuole avere - una tavoletta per raccontare il viaggio interiore di un uomo verso la sua redenzione/guarigione sentimentale - io mi chiedo: perché?
Perché le forzature poetiche?Il protagonista è ironico e realistico, ma il viaggio è fin troppo spirituale e introspettivo, i due mischiati fanno un macello. Non sono riuscita a capire se l'intento era quello di farCI fare un viaggio interiore ma con il sorriso o se era tutta una presa in giro e "l'amore, il tu, il noi, il galleggiamo insieme e sosteniamoci" una parodia dei guru e santoni del nuovo millennio.
Salvo solo poche frasi, totalmente estrapolate dal contesto.
A parere mio manca di trama, il viaggio è totalmente sconclusionato, e il cliché dell'uomo allergico all'amore per paura delle delusioni passate è fin troppo usato e abusato.
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