Dettagli Recensione
Tic. Tac.
«E infatti, il tronco, dopo le ultime resistenze, aveva ceduto, e ne sarebbero caduti altri, di alberi, e l’autunno si sarebbe trasformato in inverno, e il sole sarebbe sorto e sceso sempre, non si potevano fermare i temporali, o le piogge, o il susseguirsi delle stagioni, né si poteva spostare il corso degli eventi. [...] A ciascuno la propria battaglia. Le due facce. Uomini e alberi.» p. 19-20
Marco Franzoso torna in libreria con un romanzo di grande attualità che parla di infanzia, che parla di un bambino in difficoltà. Un bambino schiacciato dai silenzi, dalle insicurezze della madre, dalle circostanze, dagli avvenimenti. Un bambino che rivive e non ricorda, o almeno cerca di non ricordare più. Un viaggio, con la mamma e l’avvocato, un incontro con gli assistenti sociali e una giudice, il dover affrontare quelle due facce della stessa medaglia. Il suo nome è Matteo, ha dodici anni, fa la seconda media e deve dare agli adulti quel che loro vogliono: le parole.
Non può far affidamento su alcuno: Enrica, la madre, è troppo insicura e indecisa, i nonni non hanno empatia ma giudicano, in particolare la nonna, la psicologa che suona falsa sin dalle prime battute, finisce con l’essere ingabbiata in quel che è il suo ruolo, l’avvocato viene sminuito nelle sue funzioni e a sua volta pecca di mancanza di empatia, la Giudice, infine, cerca quella verità “oltre ogni ragionevole dubbio” e “ad goni costo”, a prescindere da quel che può significare per l’innocente.
Silenzi, sprazzi di pensieri e parole. Fatti raccontati senza raccontare davvero ma semplicemente affidandosi al disagio provato dallo stesso fanciullo. Ed è proprio dai silenzi, dalle parole pronunciate diverse dal pensiero, dai minimi dialoghi, dalle contraddizioni, che il testo esce fuori con tutta la sua forza dirompente. Si apprende dell’abuso sul minore mediante l’intuizione. Si comprende quel che è accaduto, si stenta a crederci, si rileggono i passi per essere sicuri di aver capito bene. Si è sopraffatti dai pensieri e dalle riflessioni. Si è sopraffatti dai perché. Significativi, ancora, i passaggi in cui Matteo si guarda da fuori tramite la piccola Sofia, i passaggi in cui riconosce il suo sguardo, il suo sentirsi fuori luogo, sporco, sbagliato, colpevole.
Un piccolo capolavoro che arriva rapido nelle sue 154 pagine, che non giudica e non condanna, ma che apre la finestra su un mondo di violenza che invita all’immedesimazione, alla consapevolezza, alla disamina.
«Le parole hanno due facce, una visibile e una nascosta, perché tutto è doppio, non ci possiamo fare niente. E soprattutto si vergognava di avere capito solo dopo essere entrato lì dentro che certe parole e certe frasi e certi discorsi detti dagli adulti avevano un senso definitivo che non concedeva ripensamenti, o riparazioni, o cura, perché il senso rimaneva incassato davanti a chi aveva parlato come un masso di pietra. Alcune parole, certo non tutte, non quelle che anche gli adulti usavano per farsi capire dai bambini, o che i bambini amavano scimmiottare quando parlavano con i grandi, appartenevano a un universo differente e fino a poco tempo prima sconosciuto. Prima c’era un mondo, lì fuori. C’erano il papà e la mamma, c’era la nonna, c’erano i professori di scuola, c’era la preside, c’era il sindaco, c’erano il parroco, il farmacista, il pediatra. C’erano persone che sarebbero rimaste per sempre al loro posto in ambulatorio, in municipio, o a scuola e, per quanto un bambino potesse arrabbiarsi o piangere, quel mondo definitivo non ne sarebbe mai stato sfiorato. C’era il mondo e c’erano anche i bambini, e i grandi erano lì per aiutarli a vivere senza capire.» p. 88
«Si sentì molto orgoglioso di sé stesso e, ora che aveva visto lo scatto, era anche pronto per capirlo. Sì, adesso era grande abbastanza per vedere il movimento delle lancette e sentire il tempo passare, senza paura dei ricordi o di quello che sarebbe venuto poi. Tic. Un po’ dimenticare, un po’ ricordare. Tac. Mondo e parole. Ciò che passa e ciò che resta per sempre, anche se nascosto dentro di noi. Tic. Le due facce della stessa medaglia erano una cosa sola, ce l’aveva fatta, e anche suo padre sarebbe stato molto orgoglioso di lui. Tac.» p. 154